mercoledì 29 maggio 2013

"Capo Scirocco " tante emozioni in questo romanzo


Capo Scirocco è un libro sugli esiti (non sempre felici) dell'amore da melodramma, del lasciarsi travolgere dal demone dell'amore, ma è anche un libro che parla di musica e di ombre con personaggi che oscillano, come spesso avviene a tutti noi, tra ciò che vorrebbero essere e ciò che la società vuole che siano. Le convenzioni sociali spesso ci impongono ruoli dentro i quali ci sentiamo stretti o che poi vengono sconvolti dalla passione. La passione in questo romanzo è rappresentata attraverso la musica e il vento entrambi capaci di insinuarsi nelle pieghe della mente dei protagonisti e sconvolgerli nel profondo.

Ersilia Emanuela Abbadessa ha mando in libreria un buon prodotto che sta riscuotendo successo sia dalla critica, sia dal pubblico e nel raccontare la sua isola ha creato un bel prodotto letterario.

Che Sicilia ha descritto?

“Ho scelto di descrivere la Sicilia attraverso un luogo immaginario, Capo Scirocco, perché volevo far convergere lì tutte le diverse identità isolane che sono differenti l'una dall'altra, a seconda dei popoli che le hanno dominate. Dunque, a Capo Scirocco è possibile ritrovare la mondanità spagnola che è tipica di Catania, i miti arcaici che sono propri di Siracusa, la raffinatezza dei salotti arabi che è di Palermo, lo spirito cattolico particolarmente vivo in certe zone dell'entroterra, l'eleganza sabauda del periodo piemontese e così via. Per questo non ho descritto direttamente Palermo nemmeno quando i miei protagonisti ci si recano ma l'ho fatta assaporare solo attraverso i loro racconti per collocare in un altrove tutti i luoghi siciliani che sono reali. D'altra parte il mio romanzo gioca con le strutture tramiche del melodramma e i melodrammi, anche quando hanno ambientazioni precise, rimandano sempre l'impressione di essere collocati in uno spazio senza tempo e non identificabile”.

Oggi la “sua” isola come la vede?

“Manco dalla Sicilia da molto e l'immagine che ne ho è quella che avrebbe una nostalgica innamorata che rivede l'amante solo di rado. Per questo non riesco più a vedere della Sicilia i difetti che pure mi hanno fatto soffrire e che, in qualche modo, mi hanno costretta a lasciarla. La Sicilia è una regione piena di problemi, questo è sotto gli occhi di tutti, ma con enormi potenzialità con un popolo fiero, intelligente e di una forza stupefacente. Io mi sento profondamente siciliana”.

Leggendo Capo Scirocco ho trovato passione, amore e molto altro ancora, come sono andato?

“Direi molto bene. La passione in senso lato è protagonista del mio romanzo e l'amore, naturalmente, è il filo principale della storia. Ma, oltre, si potrebbe fare una riflessione sulla predestinazione - l'ombra che copre Luigi, il protagonista, appena sbarcato in Sicilia, in fondo può essere letta come un presagio negativo - sulla spiritualità e, senza voler rivelare nulla ai lettori futuri, anche sul rapporto tra vittima e carnefice, ovvero sui giochi di forze che si innescano all'interno dei rapporti di coppia”.

In questo libro si respira la bellezza della musica, ma per lei questa parola cosa sprigiona e come la vorrebbe far capire ai lettori?

“La musica per me è un linguaggio. Ha grammatica e sintassi e, soprattutto, si esprime attraverso la forma. A dirla così sembra che il bello in musica non mi colpisca ma non è vero: il bello è per me il perfetto equilibrio della forma, l'invenzione nello svolgimento armonico. Ecco, se dovessi decidere di parteggiare per una delle mie due protagoniste, donna Rita amante del melodramma o per Anna sostenitrice della musica wagneriana, direi che il rigore scientifico di Anna mi appartiene di più. Questo non esclude però che ogni volta che sento La traviata (e l'avrò ascoltata più di 200 volte), quando Violetta al secondo atto intona "Dite alla giovine" io scoppi in lacrime. E sono certa che continuerò a farlo anche al millesimo ascolto.

Lo scirocco per lei è un vento di passione?

“Sì, senza alcun dubbio. Il caldo accende le passioni. Se penso alla carnalità penso alla pelle accaldata, lucida e leggermente imperlata di sudore. E quale vento saprebbe suscitare meglio questa seduzione se non lo scirocco?”.

Rossano Scaccini

© Riproduzione riservata

Foto: gentilmente concessa da Emanuela Ersilia Abbadessa

 

Un romanzo sul mondo del calcio: Atletico Minaccia Football Club


Appassionarsi a un libro che parla di calcio, anche quando questo non è lo sport preferito. E’ una frase comune che circola fra i lettori di Atletico Minaccia Football Club scritto da Marco Marsullo. All’esordio come scrittore, il 28enne napoletano ha piazzato immediatamente il suo romanzo in vetta alle classifiche editoriali.

È la storia di un allenatore un po' scalcagnato col mito di José Moruinho: prova a imitarlo ma la cosa gli viene malissimo. Allena una squadra di giocatori improbabili che lo faranno penare e gioire nei modi meno ortodossi del pianeta. Di pari passo con la stagione calcistica dell'Atletico Minaccia ci saranno le disavventure familiari del povero Cascione.

Il calcio per Marco Marsullo è sempre una fede?

“Assolutamente sì. Per me una fede fortissima, che non finirà mai. Una delle più grandi passioni della mia vita, insieme alla scrittura”.

Il suo rapporto con il pallone è?

“Sono un difensoraccio centrale, di quelli un po' palla e gamba (ma non entro mai per far male apposta, sia chiaro!). Mi piace guardarlo, mi piace giocarlo, mi piace andare allo stadio. Mi piace tutto, insomma”.

Lei è un napoletano che tifa Milan, ma non è inconsueto?

“Molto insolito, sì. La mia, come dico sempre, è "una vita in trasferta". Ma ormai ci sono abituato. Quando posso seguo il Milan allo stadio, sia a Milano che nelle trasferte del centro-sud Italia”.

E fra i suoi amici che ne pensano di questo sua appartenenza ai colori rossoneri?

“Ormai ci sono abituati, mi sopportano, mi prendono in giro, ma mi rispettano. Perché tra appassionati veri ci si rispetta anche con colori diversi nel cuore. Il calcio è una linea che unisce tantissime persone, non deve dividerle mai, anche nella rivalità”.

Come nascono i personaggi del suo libro?

“Dallo studio e dalla passione che ho per il pallone. Unendo tutto a quella verso la mia terra. Sono usciti fuori un po' giocando con i tic e i vezzi del mondo del calcio. Poi, chiaro, alcuni sono più accentuati per strappare qualche risata, ma non ho mai forzato la mano, volevo che il mio Atletico Minaccia fosse la squadra più sgangherata sì, ma anche più sincera e vera. Spero di esserci riuscito”.

Può presentarceli?

Ce ne sono alcuni che adoro. Sasi Mocciardi, il numero 10 arrogante ma scarsissimo che ha tatuato dietro la schiena il volto del celebre Pocho Lavezzi che si bacia appassionatamente con la Madonna. Poi c'è Ciro Pallina, l'attaccante con la colite cronica. "Trauma" Zarrillo, lo stopper "artista del fallo da dietro". Peppe Sogliola, il "Van Basten dei gironi d'Eccellenza". Insomma, un'accozzaglia di gente divertente”.

Lei come li paragona ai personaggi del grande calcio?

“Be', sono simili in molte cose. In alcuni atteggiamenti, nella forte passione che, comunque, quasi tutti mettono in campo. Il calcio patinato non è così diverso da quello polveroso di provincia. Cambia l'attenzione mediatica, ma la passione è la stessa, se non maggiore in alcuni casi”.

Man mano che lo leggevo Atletico Minaccia Football Club, mi è sembrato d’essere un tifoso sugli spalti: pensa d’aver centrato il suo obiettivo?

“L'Atletico Minaccia Football Club ti conquista un po' alla volta, e Vanni Cascione diventa quell'amico a cui vuoi davvero bene. Uno con cui ridere, scherzare, e farti quattro chiacchiere di calcio a cuore aperto. Insomma: per ora sono felice che l'Atletico stia piacendo molto, ma la strada è lunga”

Rossano Scaccini

© Riproduzione riservata

Foto: gentilmente concessa da Marco Marsullo

Simona Baldanzi ha esordito con "Figlia di una vestaglia blu"

Lo definirei un romanzo operaista, stile moderno. Una classica storia di lotta quello che ha visto esordire Simona Baldanzi con il suo "Figlia di una vestaglia blu". Un romanzo che parla di operai, di vite dure, di minatori lontani dalle proprie famiglie; gente semplice del Sud arrivata in Mugello per forare le montagne e far passare il treno ad alta velocità. Ma questo libro potrebbe anche definirsi una storia a colori individuale e collettiva fatta di fabbrica, di cantieri e di colline, impastata di fatica, di orgoglio, di dolcezza. È un storia che cuce insieme immagini, volti e parole semplice. Se ti immergi senti la tramontana che ti affetta gli zigomi e l’odore di ferro e d’erba di quei luoghi.

L’intervista inizia con una premessa dell’autrice su Castiglione della Pescaia.

“Ho ancora in testa una bella serata camminando in salita, con un gelato in mano e scansando la folla abbronzata”.

Chi è Simona Baldanzi?

“In questo preciso momento una donna di trentacinque anni smaniosa di veder cambiare la propria vita e quella del Paese. Sono in sintonia con la tensione che si avverte in giro”.

Scrivere per lei vuol dire?

“Mia mamma diceva sempre, studiate bambini, studiate, perché è brutto quando le parole non arrivano o arrivano tardi. Scrivo per non far arrivare tardi le parole, ma anche per farsi sempre delle domande, per dubitare, per migliorare. E poi raccogliere, custodire, rendere dignità”.

Come è riuscita a far diventare libro la sua idea?

“Nella giuria del Premio Campiello Giovani c’era lo scrittore Edoardo Nesi. Partecipai grazie a una circolare passata a scuola. Col mio racconto nel 1996 vinsi la sezione Toscana e poi andai in finale per la cinquina. Non avevo neanche venti anni. Nesi mi ha incoraggiato a continuare. Lui è stato il primo a leggere Figlia di una vestaglia blu e lo ha passato a Massimiliano Governi, editor della Fazi. Mi chiamarono dalla casa editrice per andare a Roma e sulla scrivania avevo il contratto. Si stupirono tutti che non lo firmai subito, ma lo portai a casa perché lo volevo leggere per bene. Ero incredula, ma come dimenticare le raccomandazioni che ti fanno fin da piccola su cosa si firma”.

Di chi ci lavora in fabbrica e delle loro lotte se ne parla sempre meno, come se stessero scomparendo?
 
“Esistono ancora uomini e donne che lavorano in fabbrica qui come nel mondo, quindi gli operai esistono ancora e ancora esiste quella parola. Le classi si sono allargate soprattutto quelle basse inglobando nuove frustrazioni e nuovi contratti precari. Le forme di lotta sono cambiate, ma non le vedo scomparire. Il termine più desueto e ribaltato è proletariato: prima le classi basse venivano identificate con la prole, I figli, ora, nel mondo occidentale non è più così. Fare figli è un lusso”.

Sua madre ha lavorato per 30 anni alla Rifle le ha parlato di quel mondo e lei da figlia quale racconto più bello si porterà sempre nel cuore?

“Più che un racconto della mia mamma, mi porterò sempre dentro un ricordo. Quando da bimba la riabbracciavo uscita dalla fabbrica e stavo in collo avvolta dalla sua vestaglia blu e potevo infilare le mani nelle tasche per trovarci delle cose che mi parlassero di lei, delle sue giornate come un bottone, un fazzoletto, un pacchetto di caramelle, la lista della spesa”.

In questo romanzo autobiografico viaggiano assieme le problematiche legate all’ambiente e al lavoro come stanno andando secondo lei queste cose sia nel Mugello, sia in Italia?

“Sono vittime dello stesso delirio. Bisognerebbe incrinare il gioco che li vede contrapposti a seconda dell’utilità: quando si vuole distruggere il lavoro si fa leva sul fatto che si vuole salvare l’ambiente, quando si vuole distruggere l’ambiente si fa leva sul fatto che si vuole salvare il lavoro”.

Il commento più bello che le hanno fatto dopo che è uscito il suo libro?

“M’hai fatto sentire ricca di cose che credevo ormai valessero solo per me”.

Quello più brutto?

“Perché il tuo libro non ha fatto i soldi come Acciaio?”.

Rossano Scaccini

©Riproduzione riservata

Foto gentilmente concessa da Simona Baldanzi

mercoledì 15 maggio 2013

Ti prego lasciati odiare è impossibile con Anna Premoli


E’ entrato immediatamente nella top ten dei libri più letti in Italia, dopo che come e-book ha sbaragliato le vendite . Ma più che i numeri quello che conta davvero sono i giudizi delle persone e i riscontri positivi che sta avendo “Ti prego lasciati odiare”, scritto da Anna Premoli.

Classe 1980, nata in Croazia ma dal 1987 vive a Milano. Di professione si occupa di investimenti finanziari per una banca privata italiana, sposata ha un bambino di tre anni. Scrittura a parte ama molto leggere, giocare a tennis, sciare, suonare il pianoforte e impastare dolci.

“Ti prego lasciati odiare” è un romanzo ironico rosa i cui protagonisti, Jennifer e Ian, lavorano entrambi per una nota banca d’affari londinese. Provengono da due famiglie molto diverse (lui è destinato un giorno ad essere duca mentre lei può vantare solo discendenze da gente vegana e antimonarchica) e  hanno alle loro spalle anni di litigi e rivalità in campo professionale. Per un incidente di percorso saranno però costretti a lavorare insieme e dovranno deporre le armi. Da questa loro collaborazione forzata nascerà anche un sentimento di attrazione che complicherà ulteriormente le loro avventure.

Se Anna Premoli è diventata una scrittrice famosa è per colpa di suo marito?

“Ho scritto questo libro solo per diletto personale, non intendevo mai pubblicarlo. Mio marito ha cercato di convincermi a inviare il testo a qualche casa editrice ma, vista la mia titubanza, mi ha poi fatto un bizzarro regalo di compleanno: ha pubblicato il mio romanzo tramite una piattaforma di  self-publishing in formato e-book”.

Una casa editrice che pubblica e-book ha un bel banco di prova da poter sfruttare e mettere alla prova scrittori emergenti: lei che cosa ne pensa?

“All’estero le piattaforme di self-publishing sono già una realtà avviata e hanno prodotto autori diventati poi molto noti come per esempio Amanda Hocking. La stessa trilogia delle “50 sfumature” che tanto successo ha avuto anche da noi nasce appunto come ebook.  In Italia c’è ancora una netta preferenza per i libri cartacei, ma è innegabile che i lettori di ebook stiano crescendo. Per un esordiente cimentarsi con un mercato simile può essere molto formativo, e per una casa editrice tradizionale la possibilità di trovare qualcosa di valido tra gli emergenti è molto maggiore rispetto al passato”.

Lei nella vita fa altro, ma non ha mai pensato di smettere per dedicarsi alla scrittura?

“Ho una laurea in economia dei mercati finanziari in Bocconi e dieci anni di esperienza maturata sul campo. Preferisco di gran lunga tenermi la scrittura come hobby, è molto più divertente in questo modo.

Come si spiega il successo ottenuto con l’e-book?

“In realtà non me lo spiego, è stato davvero un caso che il libro sia riuscito ad ottenere tanta  visibilità in così poco tempo. Le recensioni positive hanno poi innescato una sorta di effetto passaparola”.

Per lei scrivere è un antistress, ma cosa prova quando si mette davanti al computer e le si apre a video quella pagina bianca?

“Scrivo storie che mi divertono, che riescono a farmi ridere. La scrittura è una forma di evasione al pari della lettura, solo che si ha il vantaggio di poter indirizzare la storia dove si desidera”.

Dopo questo libro cult dove continuerà a pubblicare i suoi romanzi su e-book o li manderà contemporaneamente anche in libreria?

“Sono stata fortunata sia sul mercato elettronico che su quello cartaceo, quindi direi che il binomio funziona bene”.

Rossano Scaccini

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mercoledì 8 maggio 2013

LICIA TROISI LA DONNA ITALIANA DEL FANTASY


Da un anno a questa parte Licia Troisi è sostanzialmente una scrittrice a tempo pieno. Circa dodici mesi fa ha conseguito il dottorato di ricerca, e ha iniziato a collaborare con l'università di Tor Vergata lavorando principalmente da casa. La 32enne che ha già venduto milioni di copie dei sui libri è tradotta in 18 Paesi è definita dagli addetti ai lavori come la più grande scrittrice italiana del fantasy.

Licia Troisi come si sente con questa affermazione sulle spalle?

“È sicuramente una definizione forte, non facile da sopportare. In ogni caso, si tratta di etichette, e quindi, come tali, tutto sommato abbastanza effimere; cerco di non pensarci troppo, né starmi a domandare se è vero. Preferisco concentrarmi sul far bene il mio lavoro”.

Cos’è per lei il mondo fantasy?

“L'ambientazione nella quale mi trovo meglio a narrare le mie storie, quella che è riuscita a trasformare una passione in un vero e proprio lavoro”.

Scrivere per i giovani le sta dando molto successo, ma quale dei suoi romanzi consiglierebbe agli adulti?

“L'ambizione è che tutti i miei libri possano essere letti con piacere anche dagli adulti; ho letto molta letteratura per l'infanzia che mi ha divertita anche da grande. Comunque, questo è un giudizio che non spetta a me ma ai lettori. Forse il più "adulto" dei miei libri è I Dannati di Malva, che, tra l'altro, parla anche di un tema di attualità, ossia lo smaltimento illegale dei rifiuti tossici”.

Essere una scrittrice giovane e di successo quanti nemici-colleghi pensa d’avere?

“Tra i colleghi francamente non saprei; non ne conosco tantissimi, e quelli che conosco sono tutti miei amici. Presso gli aspiranti scrittori, invece, per ovvie ragioni, moltissimi, ma direi che fa parte del gioco, ed è anche comprensibile.”

Di sicuro li avrà osservati, quali sono gli atteggiamenti più ricorrenti fra i suoi colleghi quando la incontrano?

“In un paio di occasioni ho scoperto di avere estimatori del tutto inaspettati (tra l'altro si trattava di persone che ammiravo molto), in altri casi si è trattato di incontri piacevolissimi e cordiali, spesso con persone che non sapevano chi fossi. Ricordo ad esempio una piacevolissima seppur breve chiacchierata con Terry Brooks a Lucca. Per ovvie ragioni lui non poteva sapere chi fossi (io non sono tradotta in inglese), ma è stato una persona squisita”.

A sette anni scriveva favole e dopo dodici mesi ha concluso il suo primo romanzo, ma non si sentiva in imbarazzo con i bambini della sua età per avere diversi modi di divertirsi?

“Non facevo solo quello. Giocavo con gli altri bambini, ma avevo anche i miei momenti, in cui me ne stavo da sola e inventavo storie. Diversa mi sono sentita spesso, soprattutto quand'ero più grande, ma credo questa sia una sensazione comunissima, durante l'adolescenza, e, ripensandoci, non è che fossi una sedicenne così terribilmente atipica”.

Il libro che al momento le ha dato maggiori soddisfazioni e che ha avuto conferma dai suoi lettori?

“Il più amato credo sia Cronache del Mondo Emerso, seguito subito dopo dalle Guerre. Io però sono piuttosto contenta anche de I Dannati di Malva, che mi sembra piacere anche a un pubblico che in genere non mi segue o mi apprezza più di tanto”.

Qual è il confine fra un libro per ragazzi e uno per adulti?

“Francamente, non l'ho ancora capito. Quando scrivo non mi faccio mai problemi di target; scrivo semplicemente ciò che sento e ciò che mi diverte. Certo, da quando sono un'autrice pubblicata, sono consapevole di scrivere per un pubblico giovane, ma è una cosa che ho scoperto quando ho proposto il libro alla casa editrice. Alla fine resto convinta che quello del genere e del pubblico sia un problema della casa editrice, più che dell'autore. Forse, non so, questo significa che una parte di me è rimasta ragazzina per davvero”.

Un personaggio straniero vivente che potrebbe prendere spunto per inserire in un suo prossimo libro?

 “Beh, Lady Gaga. A parte il mio essere una sua estimatrice, è già un personaggio fantasy, vista e considerata la sua estrosità. Devo dire che non sfigurerebbe tra le mie eroine”.

 

Rossano Scaccini

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martedì 7 maggio 2013

CON LE TRE MINESTRE IL FENOMENO LETTERARIO ITALIANO ANDREA VITALI RIPORTA I SUOI LETTORI A BELLANO SUL LAGO DI COMO


 

 

Arrivare a intervistare Andrea Vitali non è sempre facile. Le luci della ribalta lo infastidiscono, anche se non lo manifesta apertamente.

Al medico condotto di Bellano che a fine 2012 aveva abbondantemente oltrepassato i 2 milioni di copie di libri venduti, non piace parlare di se. Presentandomi, il medico-scrittore ripete lentamente Castiglione della Pescaia un paio di volte. Da questo suo intercalare ne approfitto per far partire il nostro scambio di battute.

E’ venuto qualche volta in vacanza in questo paese della Maremma?

“Conosco Castiglione della Pescaia di nome, ma non di fatto. Non sono un grande giramondo e, infatti, anche adesso mentre le rispondo ho ai piedi un paio di ciabatte”.

Essere uno scrittore affermato in gran parte del mondo che sensazione le provoca?

“Nulla di particolare. L’essere periferico mi preserva da parecchie “sirene” e mi mantiene solidamente con i piedi per e sulla terra, fatto certo che il cosiddetto successo deve essere continuamente confermato: non ci si può sedere sugli allori”.

La delusione più atroce provata scrivendo è stata?

“Il primo, e unico, rifiuto editoriale per mano di un editore che non nomino e che con lettera pre-stampata rifiutò Il segreto di Ortelia”.

E la gioia in assoluto che ha riscontrato scrivendo la può rivelare?

“La telefonata mattutina di Gianandrea Piccioli, allora direttore editoriale di Garzanti che dopo aver letto il manoscritto di Una finestra vistalago mi propose un contratto di edizione”.

Bellano è la cittadina da dove tutto parte sia nei suoi romanzi sia nella sua vita: quanto di quel passato che racconta esiste ancora?

“Ben poco, quasi niente. Dalla metà degli anni settanta, complice in primis la progressiva scomparsa del lavoro, il paese ha subito un progressivo impoverimento non solo di strutture ma anche di presenze umane. Quel passato quindi, almeno per quanto mi riguarda, è diventato un territorio della fantasia e tale resterà”.

Con i suoi romanzi ha fatto conoscere Bellano in tutto il mondo, ma ancora non l’hanno fatta cittadino onorario?

“No, però mi hanno omaggiato di una targa murata dalle parti del molo”.

La sua professione di dottore quanto le ha dato una mano per scrivere?

“Fare il medico di base significa innanzitutto incontrare quotidianamente parecchie persone, ascoltare, parlare. La chiacchiera spesso prescinde da malesseri vari, invade il territorio della confidenza o del pettegolezzo ed è in questa fase che spesso si trovano le origini di racconti o di veri e propri romanzi”.

Documentandomi su di lei ho letto una sua definizione che vorrei approfondire: cosa intende quando dice che scrivere è un lavoro, e forse tra i più artigianali che esiste al mondo?

“La cosiddetta ispirazione non serve a niente se dopo di lei non segue una lunga fase di sudorazione, cioè di lavoro pratico, quotidiano, di scrittura e ricerca, quindi artigianale  nel vero senso della parola soprattutto per uno che come me scrive sempre a mano la prima stesura di racconto o romanzo che sia”.

Quando leggo i suoi libri trovo stupende quelle situazioni paradossali che descrive, ma come si arriva a un’ironia così pungente e deliziosa?

“Praticando l’ironia e l’auto ironia sin dall’infanzia e senza prendersi mai troppo sul serio”.

Qualche suo romanzo può essere anche definito un giallo, ma mi passi il termine abbastanza allegro, perché questa scelta?

“Perché il giallo, purché sia un genere letterario che frequento molto quale lettore, non mi avvince quale scrittore. Lascio ad altri omicidi, stupri e quant’altro, a chi li sa descrivere, raccontare meglio di me”.

Ma il carabiniere sardo se lo dovesse descrivere oggi sarebbe?

“Tal quale, come un fantasma piombato nella realtà odierna”.

Le donne nei suoi romanzi vengono fuori dopo un iniziale apparente presenza di secondo piano, come le vere decisioniste della vita familiare e del paese, cose ne pensano le sue compaesane?

“Mi pare che siano d’accordo con me sul fatto che, se è vero che i pantaloni li portano i rispettivi mariti, l’ultima parola spetta sempre a loro”.

Le tre minestre, l’ultimo suo lavoro è un racconto autobiografico, ma lei come lo riassumerebbe?

“Autobiografia farcita con qualche invenzione per rendere più gustoso il piatto. Una biografica farcita con un poco di colore, di fantasia che fa appello al ricordo e a ciò che gli aneddoti raccontati scatenarono all’epoca in cui accaddero”.

In questa sua ultima fatica letteraria parla di una Bellano fra gli anni 50 e 60, ma soprattutto di un passato culinario particolare, ce lo può descrivere sinteticamente?

“Un passato legato a quella cucina che alcuni potrebbero definire povera e che io definirei autarchica: si mangiava, nei limiti del possibile, quello che si produceva. Il chilometro zero non è un’invenzione dei tempi moderni”.

Le tre ministre della sua infanzia le hanno impartito un’educazione importante e tanta saggezza, ma una cosa su tutte che si porterà dietro per sempre appresa dalle ministre è stata?

“Volare basso”.



Rossano Scaccini

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