martedì 7 maggio 2013

CON LE TRE MINESTRE IL FENOMENO LETTERARIO ITALIANO ANDREA VITALI RIPORTA I SUOI LETTORI A BELLANO SUL LAGO DI COMO


 

 

Arrivare a intervistare Andrea Vitali non è sempre facile. Le luci della ribalta lo infastidiscono, anche se non lo manifesta apertamente.

Al medico condotto di Bellano che a fine 2012 aveva abbondantemente oltrepassato i 2 milioni di copie di libri venduti, non piace parlare di se. Presentandomi, il medico-scrittore ripete lentamente Castiglione della Pescaia un paio di volte. Da questo suo intercalare ne approfitto per far partire il nostro scambio di battute.

E’ venuto qualche volta in vacanza in questo paese della Maremma?

“Conosco Castiglione della Pescaia di nome, ma non di fatto. Non sono un grande giramondo e, infatti, anche adesso mentre le rispondo ho ai piedi un paio di ciabatte”.

Essere uno scrittore affermato in gran parte del mondo che sensazione le provoca?

“Nulla di particolare. L’essere periferico mi preserva da parecchie “sirene” e mi mantiene solidamente con i piedi per e sulla terra, fatto certo che il cosiddetto successo deve essere continuamente confermato: non ci si può sedere sugli allori”.

La delusione più atroce provata scrivendo è stata?

“Il primo, e unico, rifiuto editoriale per mano di un editore che non nomino e che con lettera pre-stampata rifiutò Il segreto di Ortelia”.

E la gioia in assoluto che ha riscontrato scrivendo la può rivelare?

“La telefonata mattutina di Gianandrea Piccioli, allora direttore editoriale di Garzanti che dopo aver letto il manoscritto di Una finestra vistalago mi propose un contratto di edizione”.

Bellano è la cittadina da dove tutto parte sia nei suoi romanzi sia nella sua vita: quanto di quel passato che racconta esiste ancora?

“Ben poco, quasi niente. Dalla metà degli anni settanta, complice in primis la progressiva scomparsa del lavoro, il paese ha subito un progressivo impoverimento non solo di strutture ma anche di presenze umane. Quel passato quindi, almeno per quanto mi riguarda, è diventato un territorio della fantasia e tale resterà”.

Con i suoi romanzi ha fatto conoscere Bellano in tutto il mondo, ma ancora non l’hanno fatta cittadino onorario?

“No, però mi hanno omaggiato di una targa murata dalle parti del molo”.

La sua professione di dottore quanto le ha dato una mano per scrivere?

“Fare il medico di base significa innanzitutto incontrare quotidianamente parecchie persone, ascoltare, parlare. La chiacchiera spesso prescinde da malesseri vari, invade il territorio della confidenza o del pettegolezzo ed è in questa fase che spesso si trovano le origini di racconti o di veri e propri romanzi”.

Documentandomi su di lei ho letto una sua definizione che vorrei approfondire: cosa intende quando dice che scrivere è un lavoro, e forse tra i più artigianali che esiste al mondo?

“La cosiddetta ispirazione non serve a niente se dopo di lei non segue una lunga fase di sudorazione, cioè di lavoro pratico, quotidiano, di scrittura e ricerca, quindi artigianale  nel vero senso della parola soprattutto per uno che come me scrive sempre a mano la prima stesura di racconto o romanzo che sia”.

Quando leggo i suoi libri trovo stupende quelle situazioni paradossali che descrive, ma come si arriva a un’ironia così pungente e deliziosa?

“Praticando l’ironia e l’auto ironia sin dall’infanzia e senza prendersi mai troppo sul serio”.

Qualche suo romanzo può essere anche definito un giallo, ma mi passi il termine abbastanza allegro, perché questa scelta?

“Perché il giallo, purché sia un genere letterario che frequento molto quale lettore, non mi avvince quale scrittore. Lascio ad altri omicidi, stupri e quant’altro, a chi li sa descrivere, raccontare meglio di me”.

Ma il carabiniere sardo se lo dovesse descrivere oggi sarebbe?

“Tal quale, come un fantasma piombato nella realtà odierna”.

Le donne nei suoi romanzi vengono fuori dopo un iniziale apparente presenza di secondo piano, come le vere decisioniste della vita familiare e del paese, cose ne pensano le sue compaesane?

“Mi pare che siano d’accordo con me sul fatto che, se è vero che i pantaloni li portano i rispettivi mariti, l’ultima parola spetta sempre a loro”.

Le tre minestre, l’ultimo suo lavoro è un racconto autobiografico, ma lei come lo riassumerebbe?

“Autobiografia farcita con qualche invenzione per rendere più gustoso il piatto. Una biografica farcita con un poco di colore, di fantasia che fa appello al ricordo e a ciò che gli aneddoti raccontati scatenarono all’epoca in cui accaddero”.

In questa sua ultima fatica letteraria parla di una Bellano fra gli anni 50 e 60, ma soprattutto di un passato culinario particolare, ce lo può descrivere sinteticamente?

“Un passato legato a quella cucina che alcuni potrebbero definire povera e che io definirei autarchica: si mangiava, nei limiti del possibile, quello che si produceva. Il chilometro zero non è un’invenzione dei tempi moderni”.

Le tre ministre della sua infanzia le hanno impartito un’educazione importante e tanta saggezza, ma una cosa su tutte che si porterà dietro per sempre appresa dalle ministre è stata?

“Volare basso”.



Rossano Scaccini

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