venerdì 30 gennaio 2015

La tentazione di essere felice con Lorenzo Marone si fa un bel viaggio

Un uomo all’apparenza sprezzante, ma andando avanti con la lettura capisci che è molto partecipe alle difficoltà di chi lo circonda e con la sua tanta ironia Cesare Annunziata, il personaggio del romanzo d’esordio di Lorenzo Marone  “La tentazione di essere felice”,  diventa pagina dopo pagina davvero simpatico e il libro vola via che è un piacere.
Lorenzo Marone lei ha rappresentato nel romanzo un tipo di vecchiaia simpatica e particolare, ma lei come la definirebbe questa fase della vita?
“E’ senz’altro un periodo complesso e difficile, eppure a me viene da associarla alla parola serenità. Perché credo che, in realtà, sia l’unico periodo nel quale si attutisce quel famelico bisogno di ognuno di “riuscire” in qualcosa, di non sprecare il tempo, non commettere errori, di rendere sempre più soddisfacente la propria vita. In vecchiaia non ti resta che convivere pacificamente con i tuoi rimorsi e i rimpianti. Credo si arrivi a pensare qualcosa del genere: “Be’, questo è quanto, quello che potevo fare l’ho fatto. Per tutto il resto…chi se ne frega!”. Come fa Cesare, appunto, che si diverte a prendersi in giro da solo”.
L’egoismo, spesso, si amplifica in una persona quando invecchia, ma non crede che di solito è un difetto presente già all’interno delle persone sin da giovani?
“Di sicuro l’egoismo si amplifica con gli anni. È che non è semplice resistere alla forza dirompente della vita, bisogna difendersi in qualche modo. Da ragazzi si pensa di poter cambiare il mondo, invece poi si finisce col cercare di non farsi cambiare da esso. Però l’egoismo di Cesare, il più delle volte, è un egoismo “sano”, è quella spinta che dovremmo avere tutti noi per cercare di fare della nostra vita ciò che vogliamo, al di là di quello che pensano gli altri. È una forma di salvezza. E per salvarsi non si può essere piacenti”.
Cesare Annunziata non ha mai giri di parole, è diretto, dote che oggi è sempre più difficile permettersi?
“Cesare è una persona che dice come stanno le cose, nel bene e nel male. È uno che non ha più filtri e se ne frega di piacere a tutti i costi. Credo sia questo il meccanismo da imitare per raggiungere una sorta di serenità. È chiaro che da vecchi è tutto molto più semplice”.
E a godersi la vita come ci si riesce?
“Fare del proprio tempo ciò che riteniamo più opportuno, non sprecare ore e minuti per cose o persone che non ci interessano. Cercare di non soffocare i nostri desideri, non reprimere il disappunto, persino la rabbia, non fingere di essere qualcuno che non siamo, tentare di restare noi stessi, sempre. Sfilarsi la maschera che ci ha accompagnato per una vita e cercare di mettere noi, i veri noi, nei nostri giorni. Questo credo sia tentare di essere felici. Al di là se si è anziani o meno”.
Rossano Scaccini

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venerdì 16 gennaio 2015

Tanti sentimenti da riscoprire leggendo A Santiago con Celeste libro di Giuseppina Torregrossa

E’ una madre con la vocazione del medico, ma anche un medico con la vocazione della scrittrice. Giuseppina Torregrossa, mi viene di definirla così.
Ha una grande predisposizione ad aprirsi al cambiamento, infatti, non ha esitato a lasciare la sua professione di medico per diventare scrittrice e subito di successo.
A Santiago con Celeste è il suo ultimo lavoro arrivato in libreria. Leggendolo mi hanno colpito i suoi stati d’animo. L’autrice mette in mostra fra le altre cose, sia l’insoddisfazione, sia l’angoscia, che  sapientemente riesce ad elaborare, trasformandoli in una spinta verso il nuovo.
Perché ha deciso di intraprendere il cammino verso Compostela?
“Per infelicità, insoddisfazione, bisogno”.
Lei questo cammino l’ha definito una sfida fisica e mentale: perché?
“Marciare al ritmo di 25/30 chilometri al giorno per parecchi giorni e una prestazione mentale”.
A Santiago con Celeste, infatti, è il racconto di un viaggio lungo trecento chilometri, 11 giorni, due paia di scarpe e una sciarpa. Un percorso in cui l'autrice parte con uno zaino pieno e torna con uno zaino vuoto. Un cammino in cui tutti partono soliti e tornano un po’ più nuovi.
 Da Roma a Santiago, in treno, molto a piedi, (ma qualche volta anche in taxi), dormendo nelle foresterie dei conventi, in ambigui alberghetti dalla pareti colorate (ma spesso dotati di SPA), il pellegrinaggio a Santiago di una scrittrice italiana che demitizza e rimitizza il cammino a Compostela attraverso i suoi passi e quelli della sua amica Celeste. Celeste non dorme mai, parla continuamente, mangia chili di frutta e cammina sempre più veloce, ma poi, alla fine, l'autrice e Celeste si ritrovano insieme a Santiago (ma ci sono ancora 4 km da fare fino al santuario). L'intervallo temporale di quando si parte e quando si torna, che diventa, come spesso fa il tempo, un intervallo spirituale, sentimentale e fisico.
Rossano Scaccini

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