La tristezza ha il sonno leggero. Un altro successo di Lorenzo Marone
Erri Gargiulo ha due padri, una madre e mezza e svariati
fratelli. È uno di quei figli cresciuti un po’ qua e un
po’ là, un fine
settimana dalla madre e uno dal padre. Sulla soglia dei quarant’anni è un uomo
fragile e ironico, arguto ma incapace di scegliere e di imporsi, tanto emotivo
e trattenuto che nella sua vita, attraversata in punta di piedi, Erri non
esprime mai le sue emozioni ma le ricaccia nello stomaco, somatizzando tutto.
Un giorno la moglie Matilde, con cui ha cercato per anni di avere un bambino,
lo lascia dopo avergli rivelato di avere una relazione con un collega. Da quel
momento Erri non avrà più scuse per rimandare l’appuntamento con la sua vita. E
deciderà di affrontare una per una le piccole e grandi sfide a cui si è sempre
sottratto: una casa che senta davvero sua, un lavoro che ami, un rapporto con
il suo vero padre, con i suoi irraggiungibili fratelli e le sue imprevedibili
sorelle. Imparerà così che per essere soddisfatti della vita dobbiamo essere
pronti a liberarci del nostro passato, capire che noi non siamo quello che
abbiamo vissuto e che non abbiamo alcun obbligo di ricoprire per sempre il
ruolo affibbiatoci dalla famiglia. E quando la moglie gli annuncerà di essere
incinta, Erri sarà costretto a prendere la decisione più difficile della sua
esistenza.
“La tristezza ha il sonno leggero”, uno straordinario romanzo
sulla famiglia allargata italiana dei nostri giorni, scritto da Lorenzo Marone,
racconta quanto le persone che ci circondano influenzino la nostra vita,
tendendo a plasmare il nostro carattere e ad assegnarci un ruolo. Fino al
giorno in cui capiamo che se non vogliamo vivere una vita che non ci
appartiene, occorre ribellarsi a chi ci ama.
Ma all'autore se dico famiglia allargata: che
mi risponde?
“E’ ormai una consuetudine, non dovrebbe nemmeno
più definirsi tale. Ai miei tempi ero uno dei pochi a non avere il padre a
casa, oggi è una condizione usuale e le famiglie sono famiglie
"allargate". Bisognerebbe, perciò, anche abolire quei termini
dispregiativi come patrigno, matrigna, fratellastro etc”.
Se la sente di fare un paragone fra i genitori dell’inizio
del terzo millennio e quelli del ventesimo secolo?
“Il confronto fra epoche diverse non è mai facile.
Diciamo che è cambiata l'età nella quale si fanno i figli e questo, forse, ha
modificato anche l'educazione. Noi siamo stati educati da venticinquenni, che
per un verso potevano essere più superficiali, ma per un altro erano anche più
"leggeri", nel senso positivo del termine. La nostra generazione si
fa molti più problemi con l'educazione dei figli, molte più domande forse,
quando bisognerebbe lasciarsi andare di più. E lo dico io che sono un soggetto
ansioso”.
Un consiglio su come si supera il dolore accumulato
durante l’infanzia?
“A un certo punto subentra la responsabilità
soggettiva: non ci si può e si deve lamentare una vita intera per le mancanze
dell'infanzia. Si deve fare un percorso per recuperare ciò che non si è avuto,
per colmare i vuoti lasciati dall'infanzia, e alla fine di questo percorso, si
deve avere la forza di voltare pagina e iniziare a "vivere" davvero”.
C'è chi dice che i 40enni di oggi sono sfigati: non mi sembra una buona definizione?
“Non sono sfigati, a mio avviso, né bamboccioni,
che è un'altra tipologia di persone. Io ho parlato di quei bambini degli anni
settanta che per primi hanno avuto a che fare con il divorzio (che è del '74) e
che si sono portati appresso le cicatrici e i traumi di quell'esperienza.
Bambini in alcuni casi costretti a crescere in fretta, e per questo diventati
poi adulti che non dimenticano di essere stati bambini. Il che, per certi
versi, può essere considerato un male, ma, il più delle volte, è un bene. Molti
genitori che fanno danni sono solo adulti che si sono dimenticati di essere
stati bambini”.
Rossano Scaccini
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Foto gentilmente concesse dall’autore.