mercoledì 21 settembre 2016

Non aspettare la notte - una storia d'amore che fa riflettere. Merito di Valentina D'Urbano

“Non aspettare la notte”, romanzo di Valentina D’Urbano è idealmente ambientato tra Roma e la campagna maremmana. 
Leggendolo, ci ho visto scorci di alcuni luoghi che vedo quotidianamente e mi sono appassionato. Dopo l’ultima pagina mi sono messo alla ricerca dell’autrice per intervistarla.
“Non aspettare la notte” ha una data da dove partire: Giugno 1994. Roma sta per affrontare un'altra estate di turisti e afa quando ad Angelica viene offerta una via di fuga: la grande villa in campagna di suo nonno, a Borgo Gallico. Lì potrà riposarsi dagli studi di giurisprudenza. E potrà continuare a nascondersi. Perché a soli vent'anni Angelica è segnata dalla vita non soltanto nell'animo ma anche su tutto il corpo. Dopo l'incidente d'auto in cui sua madre è morta, Angelica infatti, pur essendo bellissima, è coperta da cicatrici. Per questo indossa sempre abiti lunghi e un cappello a tesa larga. Ma nessuno può nascondersi per sempre. A scoprirla sarà Tommaso, un ragazzo di Borgo Gallico che la incrocia per caso e che non riesce più a dimenticarla. Anche se non la può vedere bene, perché Tommaso ha una malattia degenerativa agli occhi e sono sempre più i giorni neri dei momenti di luce. Ma non importa, perché Tommaso ha una Polaroid, con cui può immortalare anche le cose che sul momento non vede, così da poterle riguardare quando recupera la vista. In quelle foto, Angelica è bellissima, senza cicatrici, e Tommaso se ne innamora. E con il suo amore e la sua allegria la coinvolge, nonostante le ritrosie. Ma proprio quando sembra che sia possibile non aspettare la notte, la notte li travolge.
Lo scambio di opinioni che ho avuto con Valentina D’Urbano è stato davvero interessante.
Angelica, il personaggio principale del suo romanzo, con i suoi trascorsi si nasconde e lo fa in un’epoca, gli anni ’90, ancora agli albori del fenomeno internet e dei social. Nel terzo millennio tutti tendiamo a nasconderci, magari dietro a un computer e svaniscono le  occasioni di confronto: che cosa ne pensa di questa situazione?
“Con l'avvento del web e dei social, tutti - chi in un modo, chi nell'altro - ci nascondiamo, ma nella maggior parte dei casi è semplicemente un limite del mezzo  nostra disposizione. Spesso è una necessità (la lontananza che ci spinge a usare la rete per comunicare, o la timidezza nell'esprimere sentimenti), a volte è un vero e proprio artificio dannoso e nocivo, mi vengono in mente i numerosi episodi di cyberbullismo che leggiamo sulle pagine di cronaca. Il caso di Angelica è diverso: sfigurata sia nel corpo che nell'anima, si chiude in casa, rifiuta i contatti con il mondo. E forse il suo limite è proprio quello di vivere negli anni 90, in un'epoca in cui internet era ancora appannaggio di pochissimi. Io credo che nel suo caso, se fosse vissuta negli anni zero, avrebbe avuto più possibilità di vivere la sua vita, di essere accettata. La rete è un infinito universo di possibilità, dipende sempre dall'uso che uno ne vuole fare”.
Prendiamo un altro momento di  “Non aspettare la notte” che ti fa pensare inevitabilmente: secondo lei come avvengono gli incontri speciali?
“Nei modi più banali, tra persone normali. Mi piace crederlo, mi piace pensare che non servono gesti importanti o location meravigliose. Può capitare di avere un incontro speciale ovunque, in qualunque luogo. Mi piace pensare che la meraviglia della scoperta e della conoscenza appartenga a tutti”.
Vale la pena di impegnarsi fino infondo in una storia o bisogna lasciarsi delle riserve?
“Ne vale assolutamente la pena. Io sono una di quelle che (a differenza di alcuni personaggi di cui racconto) in qualunque cosa fa ci mette il cuore, il fegato, la pancia e il cervello, altrimenti non ha senso farlo. misurarsi nei gesti e nelle emozioni è vivere un po' a metà per paura di soffrire o di rimanere delusi”.
Rossano Scaccini
©Riproduzione riservata

Foto gentilmente concesse da Valentina D’Urbano