sabato 14 febbraio 2015

Come inciampare nel principe azzurro - Per Anna Premoli è un volo di successo

L’ambizione di diventare un numero uno nel suo lavoro, grazie al quale andare anche a fare esperienza all’estero, è un sogno di molte persone, anche quello di Maddison. Quando le si presenta, scopre che dovrà lasciare la sua amata Inghilterra per andare in Corea del Sud, non proprio dove pensava di sbarcare. Lei ambiva alla Grande Mela newyorkese, ma deve decidere in fretta cosa fare del suo futuro. Comunque, la protagonista di “Come inciampare nel principe azzurro”, romanzo scritto da Anna Premoli è solo di facciata una donna in carriera. Facendo i paragoni lei si definisce la più metodica e riservata fra tutte le colleghe d’ufficio, e non era fino al momento della promozione, pronta a stravolgimenti così radicali della propria esistenza.
Comunque decide, dopo un lungo travaglio emotivo, di avventurarsi in Corea con il suo nuovo capo, che non le rende una vita facile sin dal loro primo incontro. Per Maddison arrivano puntualmente tante situazioni nuove da affrontare, ma da subito nasce una nuova persona.
Con Anna Premoli parto da una domanda che mi porto dietro dall’inizio di questo romanzo.
Nella realtà una donna come Maddison si sentirebbe già parecchio realizzata; lei come ha elaborato questo personaggio così apparentemente imbranato, ma piena di tanta ironia e simpatia?
“Credo che tra l'essere realizzati e il sentirsi realizzati ci sia una grande differenza. Maddison è un personaggio che almeno sulla carta potrebbe aver già ottenuto molto, ma in cuor suo non si sente
all'altezza e l'ironia è l'arma di difesa con cui maschera le sue insicurezze. Il romanzo è una storia di crescita personale e di presa di  coscienza da parte della protagonista, la cui sfida maggiore è imparare a prendersi le proprie responsabilità e non accusare sempre gli altri o il mero fato delle proprie mancanze. Il taglio del libro è molto ironico, ma dietro alla battute spesso c'è un significato che va oltre il semplice sarcasmo”.
Mark, il capo di Maddison, non è inizialmente troppo reale e per parecchie pagine anche antipatico come mai questa scelta?
“L'enfasi iniziale sul carattere burbero di Mark è chiaramente voluta, per contrastare l'atteggiamento molto ironico della protagonista. Ho immaginato Maddison e Mark come due mondi opposti, apparentemente
destinati a non incontrarsi mai. Ho da sempre molto interesse nell'indagare quel genere di rapporto che sulla carta non potrebbe funzionare e il meccanismo che scatta quando l'innamoramento inizia a
rendere percettivi anche gli animi più rigidi. Mark, inoltre, incarna fino all'eccesso i valori orientali moderni, quell'ossessivo attaccamento al lavoro e quella rigidità sociale che Maddison non comprende perché cresciuta in un ambiente diverso”.
In Anna Premoli quanto c’è di Maddison?
“In tutta sincerità, molt
o poco. Maddison è quasi il mio opposto e proprio per questo motivo darle voce è stato così divertente. Avere a che fare con una protagonista con un carattere tanto differente dal
proprio, e scrivere in prima persona, mi ha costretto a calarmi molto bene nella sua mente. "Come inciampare nel principe azzurro" è stato in assoluto il primo libro che ho scritto, quindi posso dire che Maddison mi ha insegnato quanto sia dilettevole ragionare e agire come una persona diversa. A suo modo, è stato il personaggio che ha acceso la mia scintilla verso la scrittura”.
Rossano Scaccini

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venerdì 13 febbraio 2015

Leggere i romanzi di Antonio Manzini è un consiglio che mi permetto di dare a chi segue questo blog.

Una liceale è stata rapita. Il mondo della criminalità organizzata si affaccia anche nella città di Aosta. Stavolta il vicequestore Rocco Schiavone dovrà usare tuta la sua esperienza e abilità per risolvere un caso intricatissimo. E dal suo passato un'ombra minacciosa ritorna a fare visita al poliziotto. E non è una visita di piacere.
Leggendo “Non è stagione” continuo a trovare tanto malumore in Rocco, il personaggio principale del suo romanzo, ma a Antonio Manzini capita d’imbattersi in questo stato d’animo?
“Ho imparato a conviverci giorno dopo giorno. Credo che sia una costante della maggioranza della popolazione occidentale. I motivi sono troppi, e troppo complessi. Credo che non basterebbe un intero trattato di psichiatria per dare una risposta esaustiva a questo male moderno e democratico che non guarda in faccia ceto, religione o inclinazioni esistenziali per colpire e affondare”.
Lei come lo combatte?
“Scrivendo. E' la risposta ufficiale, va da sé”.
Che cosa prova quando scrive?
“Una gioia vera e propria. Ed è un lavoro che prende 24 ore al giorno. Si viaggia, si va in in una sorta di trance benefica. Questo non significa certo che si scrivano belle cose, ma è un esercizio quotidiano che aiuta a vivere. E non è poco, secondo me”.
Rossano Scaccini

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sabato 7 febbraio 2015

L'oltraggio di Sara Bilotti racchiude diverse chiavi di lettura, ma sono tutte vincenti

“L’oltraggio” è senza dubbio un noir, ma è anche un thriller, dove l’erotismo ha una grande importanza.
Romanzo d’esordio di Sara Bilotti, ed è il primo di una trilogia che ha già fissato le prossime due uscite.
Gli addetti ai lavori definiscono il lavoro dell’autrice come la prima serie nera erotica italiana. Una cosa la posso affermare dopo avere letto “L’oltraggio”, ti travolge con tanta semplicità.
Eleonora non vede Corinne da quattro anni. Così, quando la sua amica d’infanzia la invita nella meravigliosa tenuta toscana di Bruges, dove vive insieme al suo compagno Alessandro, brillante uomo d’affari con la passione per il teatro, lei la raggiunge. Alessandro ha un fratello, Emanuele, molto diverso da lui. Uno è gentile e premuroso, l’altro è selvaggio e irruento, ma entrambi la catturano in un gioco ambiguo. Anche se desidera Alessandro, Eleonora rinuncia a lui per proteggere Corinne, come fa sin da quand’era piccola. Non riesce invece a sottrarsi alla violenta bellezza di Emanuele, che le rivela quanto possa essere eccitante perdere il controllo.
Ossessionata da due uomini, Eleonora cercherà di scoprire a tutti i costi cosa nasconde il passato. Non sa ancora che soltanto scavando nel loro cuore e nel loro corpo potrà finalmente curare la propria ferita.

Rossano Scaccini
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mercoledì 4 febbraio 2015

La felicità al potere: il presidente Mujica ripercorre la sua vita in modo davvero imponente

Vivere per quattordici anni nelle condizioni più disumane che un uomo possa sopportare, ostaggio di una dittatura feroce fino a dimenticare il proprio volto. Essere prima guerrigliero e poi deputato, senatore, ministro e, infine, Presidente della Repubblica dell’Uruguay. Rinunciare al 90% dello stipendio per vivere felice dedicando il tempo della vita alla terra e al rapporto con gli altri. Questo e molto altro è José "Pepe" Mujica, il Presidente più famoso del mondo. A quasi ottant’anni è l’esempio più scomodo che esista per l’intera classe politica planetaria, perché il “Pepe” è l’esempio vivente di come si può pensare al bene comune senza avere brame di potere e di ricchezza vivendo, anzi, come qualsiasi cittadino della propria nazione.
La felicità al potere, libro scritto dal presidente dell’Uruguay José "Pepe" Mujica, curato da  Cristina Guarnieri e Massimo Sgroi, che ha la prefazione di Omero Ciai e la postfazione di Donato Di Santo, ed è stato tradotto dalla direttrice editoriale della EIR Cristina Guarnieri, da Silvia Guarnieri e Filippo Puzio.
Questo libro ospita anche un'intervista esclusiva rilasciata a Montevideo a Cristina Guarnieri, nonché i discorsi più importanti e famosi del Presidente, fra cui spicca il discorso sulla felicità – che dà il titolo al libro – proferito dal Presidente al G20 in Brasile nel giugno 2012. Inoltre è corredato da una biografia romanzata di Mujica, ideata da Massimo Sgroi e approvata dalla Presidenza, da alcune pagine che Mujica ha scritto di suo pugno per questa prima edizione italiana.
Fra i temi che emergono dai discorsi di Mujica, oltre i riferimenti costanti alla sua storia – gli anni della sua battaglia come guerrigliero Tupamaro contro la dittatura in Uruguay, l’isolamento in carcere, poi il ritorno alla vita e la carriera politica fino alla presidenza – vi sono le ragioni della sua inusuale scelta di restare a vivere da Presidente nella sua casetta di campagna, donare il 90% del proprio stipendio ai più poveri, tentare l’esperimento sociale di liberalizzare la marijuana o aprire per la prima volta un Paese sudamericano ai matrimoni gay, la lotta contro la mafia, il tema dell'auto-gestione delle imprese, il rapporto tra il Mercosur e i Paesi del Brics, l'Europa, il mondo globalizzato, la decrescita, la cura dell'ambiente, e molto altro.
Dottoressa Guarnieri, leggendo il libro si evince con quanta semplicità è arrivata ad intervistare Mujica, secondo lei perché in Italia non si arriva così “facilmente” all’interno dei palazzi se non si è nel giro giusto?
“La politica italiana, dopo gli ultimi decenni di berlusconismo e con il conseguente impero dell'immagine e del personalismo televisivo, ha perduto molta sostanza. Credo che il progressivo svanimento di riferimenti ideali, di una seria formazione intellettuale e di un profondo impegno politico – nel senso millenario dell'“amore per la polis” – siano le ragioni principali per cui nel nostro Paese le persone che si trovano a occupare la poltrona del “potere” concepiscano (fortunatamente non sempre) la parola nel senso della “potenza” e non del “poter fare”. Con tutte le ripercussioni che ogni fatto linguistico provoca sulla realtà. E così, mentre Mujica comprende il proprio ruolo istituzionale come “servizio alla democrazia”, i nostri politici hanno spesso la tendenza a occupare quei posti in nome di altri interessi. E mentre Mujica parla di felicità, del bene comune e del senso dell'esistenza, le pagine dei nostri giornali sono invase da querelle di carattere provinciale, prive di una visione più ampia del mondo. Comunque le cose difficili non sono impossibili: l'importante è osare”.
La prima impressione appena ha visto Mujica?
“Quando sono entrata nel suo ufficio, nella sede presidenziale, ho provato una grandissima emozione. È stato come incontrare un nonno o un filosofo, un maestro di vita. Mujica ci ha salutato con dolce semplicità. Con me c'erano Cecilia Sabino, mia madre; Attilio Improta, il suo compagno; l'amica argentina “Kiki” Segura e Joaquín Costanzo, l'ineguagliabile addetto alla comunicazione del Presidente, senza il quale il libro non sarebbe potuto nascere. Abbiamo cominciato a parlare in modo estremamente spontaneo, Mujica ha avuto un immediato moto di simpatia verso la casa editrice, EIR, composta per lo più da giovani. E proprio pensando alla giovinezza, è diventato molto malinconico. Ma poi, mentre sorseggiava il suo mate, ha cominciato la sua narrazione, tra passione politica e memoria, tra ironia e nostalgia. L'impressione più forte è stata l'umanità calda e affettuosa di un Presidente che è innanzitutto un uomo, amante della terra e della natura”.
 Che gruppo di lavoro ha il presidente?
“Ho avuto modo di conoscere più approfonditamente Joaquín Costanzo, che è stato l'entusiasta intermediatore di questo progetto editoriale. Joaquín è un uomo dall'intelligenza viva e appassionata, d'origine italiana, ricco di ideali e perdutamente innamorato della vecchia sinistra del nostro Paese e delle grandi figure del pensiero comunista italiano. Con lui c'è stata subito empatia. Ci lega una visione del mondo e un sentimento acuto dell'amicizia e del vivere insieme. Il clima della sede presidenziale era arioso, fresco, allegro, pieno d'umanità, completamente privo di quella polvere burocratica e vuota che affligge molti altri luoghi istituzionali del mondo”.
Come sono le stanze dove l’ha ricevuta?
“La stanza di Mujica è molto spaziosa, con un lungo tavolo in legno dove sedeva il Presidente. Alle sue spalle c'erano tanti regali, ricevuti da diverse persone provenienti dalle più disparate parti del mondo. Davanti a lui, dei tavoli con alcuni schermi televisivi, per poter essere sempre aggiornato su quanto accade nel mondo. Un ambiente decisamente semplice, privo di orpelli o fronzoli”.
Comprendo che è riduttivo, ma la sensazione più bella che ha provato incontrandolo è stata?
“Intimità. Un'intimità familiare, calda”.
E dopo aver intervistato Mujica che cosa le è rimasto?
“Il senso profondo del suo pensiero, che ha organizzato l'intera sua esistenza di uomo e di politico: il sentimento acuto e irrevocabile di dover combattere e agire nel mondo per costruire la felicità umana. Rimane impresso dentro di me, quando mi confronto con la mia vita e con il mio lavoro, il suo ammonimento: «Attenzione! La felicità è diversa per ciascuno. Ogni persona ha la responsabilità di cercarla nella propria vita. Non c'è una ricetta uguale per tutti. Vi è una cifra soggettiva irrinunciabile. Sta a te trovarla, inventarla, realizzarla”.
Rossano Scaccini
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