domenica 20 marzo 2011

"LA VITTORIA NON E' TUTTO MA TUTTO PUO' ESSERE UNA VITTORIA" PAROLA DI FEDERICO ROCCHETTI



“Il 2011 è la mia prima stagione da professionista. Inizia un anno d'apprendimento, come di sicuro saranno anche i prossimi”.
Ha le idee chiare Federico Rocchetti, vuole vivere e lavorare praticando lo sport che ama.
Nato a Bergamo il 14 gennaio 1986, vive a Capizzone in Valle Imagna, nella provincia di Bergamo. Figlio di Giuseppe "Bepi" e della signora Giuseppina "Pinuccia", ha un fratello maggiore di 6 anni, Massimo, che prima di lui aveva provato a praticare questo sport.
Federico per emularlo è arrivato nel palcoscenico che conta del ciclismo italiano.
Si ricorda i suoi inizi?
“Avevo sei anni ed cominciai a correre per i colori l'Unione sportiva oratorio. In quella squadra restai fino alla categoria allievi”.
Torniamo ad oggi, come è la vita da professionista; mi spiego meglio come affronta le gare?
“Nelle prime corse ho cercato di mettermi in mostra con fughe da lontano come al Giro di Calabria, ottenendo la maglia dei traguardi volanti. Ho un piacevole ricordo della bell'azione compiuta nel finale al Giro dell'Insubrica con arrivo a Varese e la fuga di giornata alla Strade Bianche”.
Riassumendo: lei ed il professionismo a chi punto state?
“Cerco d'ottenere il massimo da quello che ho. Attualmente non possiedo il ritmo, la condizione la qualità per ottenere dei risultati. Adesso nel finale soffro molto, mi manca il passo dei professionisti, ma siccome non mi piace restare nell'anonimato, devo dare un senso alle mie corse. Spesso la squadra vuole corridori all'attacco ed io cerco di farmi notare inserendomi nelle fughe. Quando sarò pronto proverò ad aspettare il finale cercando dei piazzamenti”.
Per un giovane arrivato al professionismo da pochi mesi, che sapore ha la vittoria?
“L'ho assaporato molto tardi. Da giovanissimo ed esordiente avevo colto molti piazzamenti, mi accontentavo di quelli, non correvo per vincere. Il gusto della vittoria ho imparato ad assaporarlo solo da dilettante, dove ho avuto un cambio radicale mi sono reso conto che se volevo guadagnarmi da vivere con il ciclismo dovevo portare a casa risultati e nel contempo ho realizzato quanto è bello e soddisfacente vincere. Credo che il fatto di non essere stato un campioncino nelle categorie minori mi abbia aiutato a crescere forte ad essere pronto alle sconfitte ad incassare bene i colpi anche se fanno sempre male. Il gusto della vittoria spesso per me è amaro, mi rendo conto che raramente ho sorriso nel vincere una corsa. Forse a causa della fatica. Spesso quando vinco sono quasi arrabbiato immusonito e mi è difficile spiegare il motivo. Certamente quando vinco sfogo tutta la mia rabbia, la tensione e la fatica che ho accumulato per ottenerla. Solo dopo me la godo. Una delle vittorie che per assurdo ho assaporato con maggiore ritardo è stata quella del Campionato italiano Elite, solo finita la stagione, dopo aver visto la maglia tricolore appesa ho realizzato quanto di bello avevo ottenuto e quanto fossi fortunato ad averla potuta indossare. Quindi alla vittoria non so che gusto dare definitivamente, potrei dire che è una grossa ricompensa dei sacrifici che un corridore fa, ma non deve dipendere tutto da quello. Bisogna saper cogliere il bello da tutto, io sarei pronto a fare il gregario da professionista privandomi quasi sicuramente del gusto della vittoria, ma sarei comunque realizzato nel vedere che ciò che faccio ha un fine ben preciso, che potrtebbe essere la vittoria della mia squadra. In conclusione si può davvero dire che la vittoria non è tutto e che tutto può essere una vittoria. Ecco, la vittoria è la conquista dei propri obbiettivi”.
Ma ci sono state delle belle soddisfazioni tagliando per primo il traguardo?
“Le vittorie più belle ed importanti per ora sono due; la prima da dilettante perché per me è stata un segno che potevo correre in bici anche per lavoro. E’ stata una profonda realizzazione dell’obbiettivo che mi ero posto allora cioè di provare a vincere e dimostrare d'essere un buon corridore. L'altra ovviamente è la vittoria al Campionato italiano. Mi ha dato davvero tanto e solo ora me ne rendo conto.
E la sconfitta più cocente è stata?
“Tutte le sconfitte bruciano, ma i secondi posti alla Milano -Rapallo a Briga Novarese del 2009 scottano ancora, ma una delle peggiori, quella di Rovescala, battuto dall'altro campione italiano. Un bel podio, non lo metto in dubbio, però avrei preferito vincere. Comunque, la sconfitta che brucia di più, sempre se si può chiamare sconfitta, ma per me lo è, che però mi ha dato moltissimo è stata al Biogiro. Ero andato per ottenere un buon risultato, puntavo al podio e mi son ritirato. I giorni seguenti ero distrutto, veramente a pezzi, tanti sacrifici per niente. Finito il Giro non sono tornato a casa, ma ho prolungato il ritiro sul lago di Garda, dove mi sono reso conto che la mia sconfitta non dipendeva dal fisico ma dalla testa che non aveva retto la tensione e da lì ho realizzato quanto è fondamentale il giusto approccio mentale alle corse. La prima corsa dopo quella pesante sconfitta è stata a Motta di Livenza al campionato italiano. Strana coincidenza, dalle stalle alle stelle”.
Rossano Scaccini
Foto: gentilmente concessa da Federico Rocchetti
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