Simona Baldanzi ha esordito con "Figlia di una vestaglia blu"
Lo
definirei un romanzo operaista, stile moderno. Una classica storia di lotta
quello che ha visto esordire Simona Baldanzi con il suo "Figlia di una
vestaglia blu". Un romanzo che parla di operai, di vite dure, di minatori
lontani dalle proprie famiglie; gente semplice del Sud arrivata in Mugello per
forare le montagne e far passare il treno ad alta velocità. Ma questo libro
potrebbe anche definirsi una storia a colori individuale e collettiva fatta di
fabbrica, di cantieri e di colline, impastata di fatica, di orgoglio, di
dolcezza. È un storia che cuce insieme immagini, volti e parole semplice. Se ti
immergi senti la tramontana che ti affetta gli zigomi e l’odore di ferro e
d’erba di quei luoghi.
L’intervista inizia con una premessa dell’autrice su
Castiglione della Pescaia.
“Ho ancora in testa una bella
serata camminando in salita, con un gelato in mano e scansando la folla abbronzata”.
Chi è Simona Baldanzi?
“In
questo preciso momento una donna di trentacinque anni smaniosa di veder
cambiare la propria vita e quella del Paese. Sono in sintonia con la tensione
che si avverte in giro”.
Scrivere per lei vuol dire?
“Mia
mamma diceva sempre, studiate bambini, studiate, perché è brutto quando le
parole non arrivano o arrivano tardi. Scrivo per non far arrivare tardi le
parole, ma anche per farsi sempre delle domande, per dubitare, per migliorare.
E poi raccogliere, custodire, rendere dignità”.
Come è riuscita a far diventare
libro la sua idea?
“Nella
giuria del Premio Campiello Giovani c’era lo scrittore Edoardo Nesi. Partecipai
grazie a una circolare passata a scuola. Col mio racconto nel 1996 vinsi la
sezione Toscana e poi andai in finale per la cinquina. Non avevo neanche venti
anni. Nesi mi ha incoraggiato a continuare. Lui è stato il primo a leggere
Figlia di una vestaglia blu e lo ha passato a Massimiliano Governi, editor
della Fazi. Mi chiamarono dalla casa editrice per andare a Roma e sulla
scrivania avevo il contratto. Si stupirono tutti che non lo firmai subito, ma
lo portai a casa perché lo volevo leggere per bene. Ero incredula, ma come
dimenticare le raccomandazioni che ti fanno fin da piccola su cosa si firma”.
Di chi ci lavora in fabbrica e
delle loro lotte se ne parla sempre meno, come se stessero scomparendo?
“Esistono ancora uomini e donne
che lavorano in fabbrica qui come nel mondo, quindi gli operai esistono ancora
e ancora esiste quella parola. Le classi si sono allargate soprattutto quelle
basse inglobando nuove frustrazioni e nuovi contratti precari. Le forme di
lotta sono cambiate, ma non le vedo scomparire. Il termine più desueto e
ribaltato è proletariato: prima le classi basse venivano identificate con la
prole, I figli, ora, nel mondo occidentale non è più così. Fare figli è un
lusso”.
Sua madre ha lavorato per 30 anni
alla Rifle le ha parlato di quel mondo e lei da figlia quale racconto più bello
si porterà sempre nel cuore?
“Più
che un racconto della mia mamma, mi porterò sempre dentro un ricordo. Quando da
bimba la riabbracciavo uscita dalla fabbrica e stavo in collo avvolta dalla sua
vestaglia blu e potevo infilare le mani nelle tasche per trovarci delle cose
che mi parlassero di lei, delle sue giornate come un bottone, un fazzoletto, un
pacchetto di caramelle, la lista della spesa”.
In questo romanzo autobiografico
viaggiano assieme le problematiche legate all’ambiente e al lavoro come stanno
andando secondo lei queste cose sia nel Mugello, sia in Italia?
“Sono
vittime dello stesso delirio. Bisognerebbe incrinare il gioco che li vede
contrapposti a seconda dell’utilità: quando si vuole distruggere il lavoro si
fa leva sul fatto che si vuole salvare l’ambiente, quando si vuole distruggere
l’ambiente si fa leva sul fatto che si vuole salvare il lavoro”.
Il commento più bello che le
hanno fatto dopo che è uscito il suo libro?
“M’hai
fatto sentire ricca di cose che credevo ormai valessero solo per me”.
Quello più brutto?
“Perché
il tuo libro non ha fatto i soldi come Acciaio?”.
Rossano
Scaccini
©Riproduzione
riservata
Foto
gentilmente concessa da Simona Baldanzi
<< Home page