Salone per signora offre l'incontro di tante sfaccettature della vita di tutti i giorni. Bel romanzo di Erica Barbiani
A San Vito, paesino del nord-est tagliato a metà da una strada
statale, vivono Edi Bellin, parrucchiere di talento, e sua moglie Loretta. Non
sono soltanto le nuvole di concimi chimici che aleggiano sulla zona ad impedire
la felicità della coppia, ma anche un desiderio insoddisfatto: Edi e Loretta
non riescono ad avere un figlio. Sarà vero, come crede (e spera) Loretta,
infermiera con una passione patologica per i manuali di self-help, che la
soluzione a ogni problema è lavorare su se stessi? L'incontro con una serie di
bizzarri personaggi, ognuno guidato da un preciso obiettivo, cambierà il
destino della coppia:
l’apprendista punk Gennifer vuole imparare
l’arte del taglio; la volitiva signora Cosimo deve salvare la sua accademia di
hairstyle; la silenziosa Adele vuole preservare i segreti custoditi nel suo
monastero laico di sole donne; Mirco, autore di best seller sul potere della
consapevolezza, sta cercando di disintossicarsi da un gustoso peperone di cui è
dipendente. E a unire tutti sarà proprio quest'ortaggio, così morbido e dolce,
pungente eppure digeribile: saranno vere le proprietà su corpo e ormoni che gli
si attribuiscono? Cosa lo rende così prezioso, e perché tutti vogliono
mangiarlo? Attraverso una scrittura comica, brillante e originalissima, Salone
per signora trascina i suoi personaggi in una corsa irresistibile alla ricerca
di se stessi, verso il misterioso equilibrio tra ossessioni private e miti
popolari, leggi antiche e fenomeni naturali.
In sintesi questa può essere la presentazione di Salone per signora,
romanzo mandato in libreria a da Erica Barbiani, autrice
e produttrice di documentari che vive in Friuli. Ha un dottorato in sociologia,
è appassionata di etnobotanica e nel suo orto coltiva decine di erbe
aromatiche.
Per Erica Barbiani scrivere vuol
dire?
“Tra le tante cose che può essere la scrittura – un
modo per capire il mondo, per proteggersi, per re-inventarlo
– la cosa che amo di più è il gesto quotidiano dello scrivere. La fatica, ma
anche la gioia che sa dare nei momenti in cui meno te l'aspetti. Scrivere ogni
giorno è simile all'allenamento che fa un atleta per prepararsi ad una
maratona. Credo che la costanza sia in grado di dare un piacere più grande
dell'ispirazione, che è notoriamente una musa capricciosa”. Lei scrive in modo divertente e anche spensierato (a me piacemoltissimo), ma è uno stile che non crede sia poco seguito?
“Piacerebbe
anche a me leggere più testi ironici in italiano. Gli autori che amo – Tom
Robbins, Aravind Adiga, Christopher Moore, Gerald Durrell, Zadie Smith, –
provengono quasi tutti dalla letteratura anglosassone, dove il genere del
cosiddetto dark humor trova molti lettori. Credo che l'ironia, se
mescolata alla tenerezza, possa farci riflettere sulla società in cui viviamo
con la stessa serietà di altri generi letterari”.
I vari personaggi del suo romanzo hanno un qualcosa
che li collega a leggende metropolitane e ti sembra di conoscerli, in quanti le
hanno già detto che hai scritto di qualche loro conoscente?
“La cosa
che mi ha sorpresa non è stata tanto lo scoprire che alcuni lettori trovavano
somiglianze tra alcuni personaggi del romanzo e persone reali, quanto il fatto
che questi “riconoscimenti” non avvenissero soltanto in Friuli, dove è
ambientato il romanzo. A quanto pare certi personaggi, e certi scenari,
ritornano in diverse località di provincia. Mi fa piacere immaginare che il
Salone da Edi Sette Stelle, costruito in un granaio della campagna friulana,
possa trovarsi altrettanto bene in un capannone dell'Emilia Romagna o magari alla
periferia di Napoli”.
Ma i peperoni?
“Ho scelto il peperone perché volevo raccontare di un
ortaggio allo stesso tempo “amato e odiato”: piace – per il suo sapore, per la vitamina C, per i
suo colori – , ma allo stesso tempo sono in tanti a lamentarsi della sua
cattiva digestione. Mi sembrava adatto per raccontare il rapporto ambiguo che
esiste tra l'uomo e la natura: da un lato la possibile armonia, dall'altro gli
effetti imprevisti e collaterali che non riusciamo a controllare. L'ortaggio
diventa così una metafora per tutto ciò che della natura non riusciamo a
comprendere, il suo essere, inevitabilmente, agrodolce”.
Rossano Scaccini
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