sabato 31 luglio 2010

Alessandro Petacchi e la sua gioia di pedalare










“Sono un grande appassionato di ciclismo che, sfruttando buone doti fisiche e impegnandosi al massimo, riesce a lanciare la sua bicicletta a velocità molto alte. A differenza di altri velocisti, però, mi manca forse quel tocco di follia che serve per essere spregiudicato negli sprint”.
Ho chiesto al neo vincitore della maglia verde al Tour de France, Alessandro Petacchi, di trovare un modo di presentarsi ad un pubblico nuovo, magari a dei ragazzi che l’hanno visto in televisione scattare e vincere una volata al Giro transalpino.
Andiamo avanti con le presentazioni, chi è Alessandro Petacchi fuori dall’ambiente ciclistico?
“Una persona che ama la tranquillità. Trascorrere del tempo con mia moglie e mio figlio, accudire i numerosi animali che vivono in quello che si può definire un piccolo zoo domestico, andare a pescare con gli amici: queste sono le cose che amo fare quando non sono in bicicletta”.
Quando ha iniziato a prendere seriamente l’andare in bicicletta?
“Ho iniziato a praticare ciclismo relativamente tardi, avevo 12 anni. Mi ero cimentato nel nuoto e nell’atletica ma, quando ho provato a correre in bici, ho capito che era lo sport che mi dava maggiori soddisfazioni. La passione per il ciclismo mi è stata trasmessa da mio padre, guardavamo assieme tutte le corse che venivano trasmesse in televisione e così, quando ho capito che avrei potuto imitare i campioni che ammiravo, non ho più mollato la bicicletta”.
Come è scandita una sua giornata?
“Se sono a casa, mi sveglio non troppo tardi, dedico un po’ di tempo al mio bimbo e a mia moglie, dopo colazione mi preparo per uscire in allenamento. La pedalata può durare dalle due alle sei ore e più, dipende da quale tipo di lavoro di preparazione sto svolgendo. Quindi rientro, mangio un pranzo solitamente composto da pasta in bianco e carne, e nelle rimanenti ore del pomeriggio svolgo tutte le tipiche commissioni di una persona normale: lavori per la casa, bollette, spese e quant’altro. La sera, solitamente, non faccio mai tardi. Se invece mi trovo alle corse, la giornata è caratterizzata da ritmi pazzeschi scanditi da sveglia, colazione rinforzata, trasferimento alla partenza, preparazione pre-corsa, gara, protocollo post-gara, rientro in hotel, massaggi, cena”.
Ed una senza la bicicletta?
“In quei rari giorni nei quali la bicicletta non occupa gran parte delle 24 ore, cerco di dedicarmi il più possibile alla famiglia e ai miei amici. Niente di speciale, mi piace rallentare i ritmi frenetici delle giornate di corsa”.
Alessandro Petacchi che cosa ha imparato da questo sport?
“Che, quando si partecipa a una competizione, nessuno ti regala nulla: se vuoi ottenere qualcosa, devi impegnarti al massimo per raggiungerla. Per fortuna, il ciclismo mi ha anche insegnato che puoi contare comunque sul supporto dei tuoi compagni di squadra per centrare l’obiettivo che ti sei prefissato”.
Allenarsi per lei vuol dire?

“A me piace molto andare in bici, quindi gli allenamenti sono momenti graditi nei quali posso provare il piacere di pedalare. La fatica dell’allenamento è per me salutare, è una conferma che il fisico si sta preparando e migliorando per essere pronto in vista degli appuntamenti agonistici”.
E gareggiare?
“Il ciclismo è fatto soprattutto di gare, quindi le competizioni sono la finalizzazione di tutto il lavoro di allenamento e preparazione e sono il mezzo attraverso le quali si può raggiungere la gratificazione sportiva. E’ bello per un ciclista mettersi alla prova contro altri corridori, la gara è un lungo romanzo con un finale tutto da scrivere: questa incertezza rappresenta un grande stimolo per dare sempre il meglio”.
La parola “volata” per Alessandro Petacchi vuol dire?
“L’epilogo più entusiasmante e incerto del romanzo della corsa al quale facevo prima riferimento. La scossa adrenalinica che si prova”.
E se le dico Salita lei che cosa mi dice?
“La salita è una sfida davvero faticosa per un velocista: bisogna impegnarsi per raggiungere la vetta, senza però spendere tutte le energie e rimanendo comunque concentrati sul tempo massimo previsto dalla corsa. Per fortuna, pur essendo uno sprinter, non ho mai avuto grandi problemi con le salite e col passare degli anni, sono sempre migliorato”.
Dal ritrovo di partenza lei che cosa riesce ad intuire?
“A dire il vero, ormai al raduno di partenza si riesce ad approfondire poco la condizione e gli umori del gruppo: questo accade perché quasi tutte le squadre giungono alla partenza su autobus attrezzati, nei quali ci si cambia e dai quali si scende solo pochi attimi prima della firma sul foglio di partenza. Certo, se c’è qualche corridore che proprio non sta bene, lo si nota già alla mattina al momento di schierarsi al via: questo capita soprattutto nei grandi giri”.
Quando ha indovinato in pieno quello che pensava dopo aver osservato i ciclisti nell’area del ritrovo di partenza?
“Nel Tour de France appena concluso, per esempio, qualche mattina mi sono soffermato a guardare il viso di Hushovd, mio rivale per la classifica a punti. Quando notavo che la sua faccia era tesa, poi in corsa effettivamente il norvegese non riusciva a essere brillante; al contrario, quando il suo viso era rilassato, era una vera impresa provare a seguirlo nelle volate per gli sprint intermedi”.
Capita di cadere, ma lei cosa consiglia ad un cicloturista per superare l’inconveniente, magari prenda come “cavia” uno di quelli alle prime armi?
“Le cadute fanno parte della bicicletta, sia a livello professionistico che a livello amatoriale. Ci sono persone più propense a finire per terra e altre meno: è questione di equilibrio e agilità. Certamente, chi impara a pedalare sin da piccolo, avrà più dimestichezza con la bici e sarà quindi più agile e meno esposto alle cadute. L’unico consiglio davvero utile è quello di rimanere sempre concentrati, non distrarsi, poiché le strade e il traffico automobilistico possono sempre presentare imprevisti”.
La vittoria che sapore ha per Alessandro Petacchi?
“E’ il premio massimo per un ciclista: è il culmine di un lungo lavoro che parte dal periodo invernale, passa attraverso allenamenti e sacrifici, si concretizza in gara mediante lo sforzo agonistico e il lavoro di squadra. La soddisfazione per la vittoria è quelle di un professionista che sa di aver dato ottima finalizzazione a un lavoro ben svolto”.
Le sarà capitato qualche volta, ma che cosa ha provato dopo aver deciso di abbandonare una gara?
“Ogni ritiro dalle gare è una sconfitta, accompagnata da una grande amarezza per quanto avresti voluto offrire e per quanto avresti potuto ottenere. Il tutto condito dal malessere fisico che ha portato al ritiro”.
Un aneddoto che non dimenticherà mai legato ai suoi tifosi?
“Ogni volta che trovi lungo la strada di una corsa un tuo tifoso speciale, di quelli con i quali intrattieni un rapporto stretto di amicizia, è un’occasione speciale, uno stimolo per impegnarsi ancora di più. I ricordi più belli legati ai tifosi sono quelli riguardanti le apparizioni di questi supporter in luoghi imprevisti: magari sei a correre in una località sperduta e ti appare una faccia nota in cima a una salita difficilmente raggiungibile. Pensi ai sacrifici compiuti da quell’appassionato per raggiungerti e supportarti in capo al mondo e ti senti immediatamente più vicino a casa, ti senti spinto da un grande affetto”.
Ad oggi quale è la gara più bella che ha corso?
“La Milano-Sanremo che ho vinto nel 2005 è stata la mia corsa perfetta. Era la vittoria che sognavo fin da bambino e in quel giorno di 5 anni fa il sogno si è tramutato in realtà: un’emozione indescrivibile, alla quale si avvicinano i momenti in cui ho indossato la prima maglia rosa al Giro d’Italia e il recente podio di Parigi con la vestizione della maglia verde del Tour de France”.
Quella che ha deciso di non essere più al via?
“Non ci sono corse che evito a priori per motivi particolari. Certo, alcune gare non si adattano alle mie caratteristiche, ma non ho mai messo una croce definitiva su una particolare competizione”.
Che cosa farà dopo che smetterà di andare in bicicletta?
“Mi piacerebbe molto approfondire lo studio degli animali. Se non fossi diventato un ciclista professionista, mi sarebbe piaciuto studiare veterinaria, quindi non è escluso che possa intraprendere questa strada”.
Concludiamo lei ha una sua ricetta per migliorare il ciclismo?
“Bisogna prestare molta attenzione ai giovani, farli crescere in un ambiente ciclistico sano, che li invogli a pedalare in sella alla bicicletta. I giovani sono la risorsa fondamentale per il futuro del nostro sport”.
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Foto: gentilmente concesse dal Team Lampre-Farnese Vini.

lunedì 26 luglio 2010

Maurizio Fondriest: la determinazione che non lo fa mollare mai e l'iridato continua a vincere tutte le sfide da vero numero uno



Oggi Maurizio Fondriest è marito e padre di 3 bambini, 2 femmine di 17 e 13 anni e di un maschio di 5. E' testimonial di alcune aziende, gestisce un negozio di bici e una società immobiliare assieme alla moglie Ornella. Ma l'attività che lo assorbe maggiormente è lo sviluppo, il collaudo e la promozione delle biciclette che portano il nome Fondriest, biciclette che sono pensate, disegnate e sviluppate all' interno del gruppo Esperia, che gestisce il suo marchio. Questa – secondo l’ex campione iridato – è sicuramente l'attività che gli sta dando maggiori soddisfazioni
Signor Fondriest lei ome si presenterebbe ai giovani che non la conoscono e vorrebbero sapere la sua storia di atleta?
“Maurizio Fondriest è il più giovane ciclista italiano ad aver vinto un Campionato del mondo a 23 anni, vincitore di 2 Coppe del mondo e una Milano San Remo”.
Riesce, con tutte le attività che manda avanti, ad avere tempo per andare in bicicletta?
"Cerco di fare attività sportiva 3, 4 volte in settimana. In estate con la bici strada e mtb, in inverno con gli sci d'alpinismo assieme a mia moglie, anche lei grande appassionata di sport”.
Maurizio Fondriest che cosa ha imparato dal ciclismo?
“A non mollare mai”.
Lei è stato descritto, come un corridore da classiche di un giorno, ma si riconosce in queste affermazioni?
“Certamente, fin da piccolo ho sempre avuto queste caratteristiche”.
Il suo rivale è stato Gianni Bugno, come sono stati i vostri rapporti da professionisti del ciclismo?
“Sì, Gianni Bugno è stato uno dei miei rivali fin dalle categorie minori. Abbiamo sempre avuto una grande rivalità ma anche un grande rispetto”.
Oggi esiste familiarità fra voi?
“Sì, anche lui padre di famiglia e molto impegnato nel lavoro”.
Con chi dei suoi avversari continua a frequentarsi?
“Gianni Bugno e Marco Zen, che è stato mio compagno di squadra per tantissimi anni. Sono i corridori con i quali mi sento di più”.
Lei ha indossato la maglia di campione del mondo nel 1988 a Renaix in Belgio, ma un campione del mondo cosa consiglia di solito a chi si avvicina al ciclismo non più giovanissimo?
“Il ciclismo è uno sport che si può praticare a qualsiasi età e ti permette di percorrere lunghe distanze e quindi visitare posti meravigliosi. Conosco persone che hanno iniziato a pedalare anche dopo i 50 e che percorrono ogni anno migliaia di chilometri. Ed è per questo che lo consiglio a tutti. Provare per credere”.
Lei come dice che è meglio affrontare il dopo caduta in bicicletta?
“Salti in bici riparti e non ci pensi”.
La vita da "industriale" della bicicletta come è?
“Come quella da corridore anche qui ci sono le “salite”. Per me la ricerca del miglioramento del prodotto è paragonabile alla ricerca della condizione ottimale quando correvo. Riuscire a realizzare un telaio dalle caratteristiche tecniche, e di stile, che mi suscitino emozioni come quando vincevo è la più bella soddisfazione. Quest’anno mi è riuscito con la messa sul mercato del nuovo Tf2. Inoltre, quando hai degli atleti che vincono con le tue bici ti sembra di tornare indietro negli anni a quando correvo e vincevo”.
Foto: gentilmente concesse da Maurizio Fondriest
© Riproduzione riservata


lunedì 19 luglio 2010

MASSIMILIANO SANSONE E' IL CAMPIONE ITALIANO DI DUATHLON



“Mettere il cuore in ogni allenamento usando sempre la testa per capire se quello che si sta facendo è corretto. Sono 2 aspetti contrastanti, ma necessari”.
Ho domandato a Massimiliano Sansone, neo campione italiano di duathlon, come riesce ogni giorno a trovare stimoli nuovi per migliorarsi in allenamento e la risposta l’avete appena letta.
Ho avuto fiuto. State per leggere una bella storia.
Proseguiamo con la sua conoscenza.
Massimiliano Sansone è nato a Tivoli il 24 Aprile 1985, ma abita da sempre fra Roma e a Mentana, un paese a 20km dalla capitale. Ha conseguito la laurea triennale in Psicologia del Marketing all’università di Roma “La Sapienza”, dove continua a frequentare il III anno di Medicina.
“Sono uno studente/atleta e ringrazio i miei genitori per la possibilità che mi stanno concedendo”. Ci tiene a sottolineare questo il campione italiano di duathlon prima di partire con le domande.
Passiamo al Massimiliano Sansone atleta: ha iniziato prima a correre o ad andare in bicicletta?
“Ho cominciato a correre a 10 anni con le campestri scolastiche, ma per affrontare le prime gare e i primi allenamenti veramente importanti ho aspettato il 2001. In bicicletta ho cominciato a pedalare con una certa sistematicità nel 1997, anche se solo l’estate. Ho partecipato con buoni risultati ad un paio di gare allievi nel 2001, ma poi ho cominciato a correre e la bici la usavo 1-2 volte a settimana!.
Come si approda al duathlon?
“Generalmente si proviene dalla corsa per curiosità, per variare l’allenamento o per recuperare da un infortunio”.
E per uno che ci vorrebbe arrivare dal podismo dove ha già un suo bagaglio personale di esperienza, che tipo di allenamenti gli consiglia?
“Dovrebbe inserire qualche uscita in bicicletta di 1h, 1h30’ ad intensità blanda per dare modo all’organismo di adattarsi con calma al differente impegno muscolare. Si potrebbe diminuire il volume degli allenamenti podistici cercando di mantenere l’intensità di sempre
E per arrivare a gareggiare in un duathlon quanti chilometri bisogna correre decentemente in bicicletta?
“Penso che siano sufficienti 3 uscite a settimana per un totale di 200km settimanali”.
Quali sono le distanze, più abbordabili, per un iniziare nelle gare di duathlon?
“Sicuramente la distanza sprint che prevede 5km di corsa, 20km di ciclismo e 2,5km di corsa è una distanza tranquillamente alla portata di tutti. La distanza classica, invece, prevede 10km di corsa, 40km di ciclismo e 5km di corsa. Quest’ultimo formato di gara va preso con le “molle”: gli ultimi 5 km mi sono sempre sembrati infiniti”.
Come è scandita una sua giornata?
"Generalmente mi sveglio alle 7,30 e dopo una colazione a base di pasta, esco in bici verso le 9,00 per pedalare dalle 3h alle 5h. Poi, se la giornata prevede un allenamento di qualità nel nuoto o nella corsa, mangio con calma e nel pomeriggio svolgo il secondo allenamento in piscina o al campo di atletica. Se la giornata è “estensiva” allora svolgo il secondo allenamento subito dopo la bici per poi pranzare verso le 15,30-16. Il terzo allenamento, in questo caso, è previsto verso le 19 se devo correre o verso le 21 se devo nuotare. Tengo a sottolineare che questi allenamenti sono svolti in preparazione per l’Ironman”.
Massimiliano Sansone che cosa ha imparato da questo sport?
“Se si vuole qualcosa bisogna andarsela a prendere”.
Le gare come le affronta?
“Cerco di concentrarmi sempre su quello che voglio realizzare in gara. Comunque, rimango abbastanza tranquillo: essere tesi prima della gara vuol dire accumulare km ancora prima di partire”.
Concludiamo, il 5 luglio a Spoleto ha vinto i Campionati italiani di duathlon, ci racconta la sua gara?
“Non pensavo di vincere, ero reduce da una settimana di allenamento impegnativa e sapevo di non avere le gambe per contrastare i podisti più forti. In ogni modo, dopo il primo 10.000 avevo solo 35’ di gap dal primo gruppo e nei primi 6km di bici sono riuscito a riprenderli. A quel punto il mio compagno di squadra Luciani mi ha detto di stare tranquillo per qualche km per poi andare in fuga. Così è stato: al 10°km sono partito e al secondo tentativo sono andato via. Ho ripreso Facchinetti che era scattato qualche chilometro prima e da quel momento in poi è stata una cronometro. Siamo arrivati in T2 con un bel vantaggio e appena scesi dalla bici ho visto che avevo qualcosa in più del mio compagno di avventura e gli ultimi 5km ho cercato di stringere i denti il più possibile e alla fine è andata bene”.
Foto gentilmente concessa da Massimiliano Sansone
© Riproduzione riservata.

mercoledì 14 luglio 2010

Qualche domanda a Francesco Moser


E’ il ciclista italiano con il maggior numero di vittorie e a livello mondiale ha davanti solamente Eddy Merckx e Rik Van Looy. Un onore ospitare Francesco Moser nel mio blog.
Nato a Palù di Giovo nel 1951, lo “sceriffo” del ciclismo ha accettato di dedicarmi qualche minuto del suo tempo.
Chi è oggi Francesco Moser?
“Sono un imprenditore impegnato nella mia cantina come produttore di vino”
Come presenterebbe Francesco Moser ai giovani di oggi che non l’hanno conosciuta negli anni 70 ed 80?
“Un corridore tenace, un passista veloce, che nella sua carriera durata quasi 20 anni ha vinto più di 250 corse”.
Quando ha iniziato ad andare in bicicletta seriamente?
“Avevo 18 anni”.
Si ricorda la sua prima gara?
“Certo era a Bolzano, il Campionato regionale allievi al quale arrivai 4°”.
Come è scandita oggi una sua giornata?
“Seguo i lavori nell'azienda agricola di famiglia, dove lavorano anche i miei figli e dove produciamo vini trentini. Mi sposto anche molto spesso per seguire eventi sportivi ciclistici e non solo”.
Francesco Moser che cosa ha imparato dal ciclismo?
“L'abnegazione al sacrificio e alla fatica, la determinazione, ma anche la lealtà e la tenacia”.
Oggi quante “uscite” riesce a programmare con la sua bicicletta a settimana?
“Se sono in vacanza anche tutti i giorni, ma normalmente non più di una”.
Allenarsi per lei vuol dire?
“Mantenere il proprio fisico attivo e in salute; svuotare la propria mente dalle tensioni”.
Come dovrebbe avvicinarsi una persona al ciclismo?
“Con lo spirito di chi vuole fare fatica, per gradi e senza esagerare e competere in modo leale”.
Che tipo di bicicletta gli consiglierebbe?
“Una bici con le misure adatte, innanzi tutto con il cambio da 34 a 50 denti davanti e 13/28 dietro. Le ruote sempre controllate e mai le gomme troppo gonfie”.
Quanti allenamenti a settimana gli suggerirebbe di eseguire a questo aspirante appassionato del ciclismo?
“3 a settimana, non oltre i 50 chilometri, aumentando gradatamente”.
Dopo quanto gli proporrebbe di prendere parte ad un cicloraduno?
“Almeno dopo due mesi di preparazione”.
Ci può dire, a distanza di anni perché lei è stato soprannominato lo sceriffo?
“Ero considerato il capo del gruppo”.
Nel ciclismo attuale chi potrebbe ricoprire questa carica?
“I ruoli attuali sono diversi, non esistono figure che possano essere paragonate a quella che avevo io ai miei tempi”.
Concludiamo signor Moser con ulteriori consigli per chi si avvicina a questo sport non più giovane e pratica il ciclismo per divertimento e magari per dimagrire: a cosa devono stare attente queste persone per non perdere l’occasione di abbandonare questo sport?
“A non avere troppa foga di allenarsi, ma di avvicinarsi gradatamente e di fare delle uscite brevi, non più di 30 - 40 chilometri, ma in modo costante. Prediligere i percorsi in pianura senza troppe salite, magari con qualche piccolo sali-scendi”.
Foto gentilmente concesse da Francesco Moser
© RIPRODUZIONE RISERVATA
























giovedì 8 luglio 2010

Torna "Correndo per il mondo" la trasmissione televisiva dedicata al podismo

Il 31 luglio, alle ore 18.00, su Rete4 avrà inizio la seconda serie di "Correndo per il mondo". Protagonista è Roberto Giordano, il cabarettista-podista genovese ormai piuttosto noto nel mondo del running.
"Correndo per il mondo" è un programma particolarmente amato dai runners, ma apprezzato anche da chi non si è mai dedicato alla corsa, perchè riesce a coniugare questo sport con spettacolo, viaggi e cultura.
Il filo conduttore di ogni puntata è la partecipazione di Giordano ad una maratona o ad una corsa estrema. La performance atletica diventa il pretesto per visitare paesi sempre nuovi, apprezzarne le bellezze naturalistiche e architettoniche e apprendere gli usi e i costumi della popolazione, ma è anche un modo per conoscere gli atleti che partecipano alle gare, comprenderne le motivazioni, condividerne i sacrifici e apprezzarne la tenacia, a prescindere dalla prestazione sportiva fine a sè stessa.
I luoghi visitati da Roberto Giordano sono: Edimburgo, Stoccolma, Miami, San Pietroburgo, e l'isola di Mauritius. Insomma, è un programma da non perdere e che non mancherà di suscitare apprezzamenti, quindi l'appuntamento è per ogni sabato alle 18 a partire dal 31 luglio su Rete4.

mercoledì 7 luglio 2010

Francesco Caroni e le sue ultramaratone


Ciao podisti. Come vi ho anticipato non ho staccato completamente la spina e se al momento mi sto “dando” al ciclismo, tengo sempre un po’ sotto controllo il mondo del podismo.
Leggendo le cronache delle ultime gare mi ha incuriosito il vincitore della 35a edizione della Pistoia – Abetone e l’ho voluto conoscere meglio. Vi propongo l’intervista.
Francesco Caroni nasce a Seattle (USA) il 17 agosto del 1973 e compirà quindi, a breve 37 anni. Trasferitosi da circa 1 anno a Castelnuovo Berardenga (SI), ha intrapreso una rivoluzione a dir poco radicale appoggiato dalla famigliola composta da Federica, moglie e primissima tifosa, Tommaso e Ludovico, i suoi due splendidi figlioli che insieme alla loro mamma sono il carburante per le sue performances.
“Si è passati – rivela Caroni - dal caos cittadino ad una immersione totale nella natura del Chianti, con il magnifico affaccio sulle crete senesi. Un qualcosa di realmente rilassante per corpo e mente”.
Ora il vincitore della 35a edizione della Pistoia-Abetone lavora per la sua passione: la corsa a tutto tondo. Ha aperto insieme al già notissimo “Il Maratoneta Sport di Siena” un altro punto vendita a Sinalunga dove riesce quindi a canalizzare tutta la sua preparazione tecnica per condirla con tanta passione da servire poi al cliente. Oltre a tutto ciò nella sua vita ha dato spazio a molteplici interessi quali l'alpinismo, praticato ad altissimo livello sino ai 19 anni, tutti gli sport dai motori al golf seguiti con interesse, e poi la musica e l'arte>>.
Come riesce a stare dietro a tutto questo?
“Bisogna organizzarsi bene – sostiene Caroni - ed ecco quindi che la giornata tipo, non ora che fa caldissimo, inizia alle 7,30 quando si svegliano i “bimbi” e dopo una lauta colazione li porto a scuola, per godermeli un po', poi apro il negozio e nella pausa pranzo allenamenti con base alla palestra The Best Body di Sinalunga. Una o due volte a settimana vado anche a fare fisioterapia al San Raffaele a Foiano dove Rodolfo,il massaggiatore cerca di “rassettarmi”. Poi, si riapre il negozio e la sera la trascorro in famiglia”.
Lei come vive il podismo?
“Il mio modo passionale di interpretare la corsa – spiega Caroni - mi porta a vivere i suoi momenti culminanti quali gare o allenamenti importanti con grandissima concentrazione ma immensa serenità. Io amo correre, ma in ogni sua forma, basta che sia se poi in natura molto, molto meglio. Gli allenamenti li vivo molto tranquillamente consapevole del fatto che sono i mattoncini fondamentali per arrivare al risultato. Quello che invece mi riesce difficilissimo, anzi proprio non gliela fo, è ricordare i tempi delle gare non per nulla ma perchè lego le gare piuttosto a delle sensazioni provate ad un duello a panorami”.
A questo punto che s’inserisce la sua scelta di entrare nel mondo delle ultramaratone?
“Proprio così – ammette Caroni - un viaggio in tutti i sensi se poi parliamo di trail ancora più emozionante per il contesto naturale. Di conseguenza le gare che meno mi piacciono sono le corte, le stracittadine, anche se d'altro canto sono utilissime per il motore, e poi sono un viatico alla divulgazione del nostro sport”.
Lei che cosa pensa d’aver appreso dal podismo e si sente di trasmettere a chi pratica questo sport?
“La corsa mi ha confermato – rivela Caroni - più che insegnato valori importantissimi acquisiti quando già praticavo l'alpinismo quali il rispetto verso l'avversario e la natura, la concentrazione la genuinità, la gratitudine per quello che uno riesce a fare e verso coloro che ti sostengono quotidianamente”.
Foto gentilmente concessa da Francesco Caroni
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