mercoledì 4 febbraio 2015

La felicità al potere: il presidente Mujica ripercorre la sua vita in modo davvero imponente

Vivere per quattordici anni nelle condizioni più disumane che un uomo possa sopportare, ostaggio di una dittatura feroce fino a dimenticare il proprio volto. Essere prima guerrigliero e poi deputato, senatore, ministro e, infine, Presidente della Repubblica dell’Uruguay. Rinunciare al 90% dello stipendio per vivere felice dedicando il tempo della vita alla terra e al rapporto con gli altri. Questo e molto altro è José "Pepe" Mujica, il Presidente più famoso del mondo. A quasi ottant’anni è l’esempio più scomodo che esista per l’intera classe politica planetaria, perché il “Pepe” è l’esempio vivente di come si può pensare al bene comune senza avere brame di potere e di ricchezza vivendo, anzi, come qualsiasi cittadino della propria nazione.
La felicità al potere, libro scritto dal presidente dell’Uruguay José "Pepe" Mujica, curato da  Cristina Guarnieri e Massimo Sgroi, che ha la prefazione di Omero Ciai e la postfazione di Donato Di Santo, ed è stato tradotto dalla direttrice editoriale della EIR Cristina Guarnieri, da Silvia Guarnieri e Filippo Puzio.
Questo libro ospita anche un'intervista esclusiva rilasciata a Montevideo a Cristina Guarnieri, nonché i discorsi più importanti e famosi del Presidente, fra cui spicca il discorso sulla felicità – che dà il titolo al libro – proferito dal Presidente al G20 in Brasile nel giugno 2012. Inoltre è corredato da una biografia romanzata di Mujica, ideata da Massimo Sgroi e approvata dalla Presidenza, da alcune pagine che Mujica ha scritto di suo pugno per questa prima edizione italiana.
Fra i temi che emergono dai discorsi di Mujica, oltre i riferimenti costanti alla sua storia – gli anni della sua battaglia come guerrigliero Tupamaro contro la dittatura in Uruguay, l’isolamento in carcere, poi il ritorno alla vita e la carriera politica fino alla presidenza – vi sono le ragioni della sua inusuale scelta di restare a vivere da Presidente nella sua casetta di campagna, donare il 90% del proprio stipendio ai più poveri, tentare l’esperimento sociale di liberalizzare la marijuana o aprire per la prima volta un Paese sudamericano ai matrimoni gay, la lotta contro la mafia, il tema dell'auto-gestione delle imprese, il rapporto tra il Mercosur e i Paesi del Brics, l'Europa, il mondo globalizzato, la decrescita, la cura dell'ambiente, e molto altro.
Dottoressa Guarnieri, leggendo il libro si evince con quanta semplicità è arrivata ad intervistare Mujica, secondo lei perché in Italia non si arriva così “facilmente” all’interno dei palazzi se non si è nel giro giusto?
“La politica italiana, dopo gli ultimi decenni di berlusconismo e con il conseguente impero dell'immagine e del personalismo televisivo, ha perduto molta sostanza. Credo che il progressivo svanimento di riferimenti ideali, di una seria formazione intellettuale e di un profondo impegno politico – nel senso millenario dell'“amore per la polis” – siano le ragioni principali per cui nel nostro Paese le persone che si trovano a occupare la poltrona del “potere” concepiscano (fortunatamente non sempre) la parola nel senso della “potenza” e non del “poter fare”. Con tutte le ripercussioni che ogni fatto linguistico provoca sulla realtà. E così, mentre Mujica comprende il proprio ruolo istituzionale come “servizio alla democrazia”, i nostri politici hanno spesso la tendenza a occupare quei posti in nome di altri interessi. E mentre Mujica parla di felicità, del bene comune e del senso dell'esistenza, le pagine dei nostri giornali sono invase da querelle di carattere provinciale, prive di una visione più ampia del mondo. Comunque le cose difficili non sono impossibili: l'importante è osare”.
La prima impressione appena ha visto Mujica?
“Quando sono entrata nel suo ufficio, nella sede presidenziale, ho provato una grandissima emozione. È stato come incontrare un nonno o un filosofo, un maestro di vita. Mujica ci ha salutato con dolce semplicità. Con me c'erano Cecilia Sabino, mia madre; Attilio Improta, il suo compagno; l'amica argentina “Kiki” Segura e Joaquín Costanzo, l'ineguagliabile addetto alla comunicazione del Presidente, senza il quale il libro non sarebbe potuto nascere. Abbiamo cominciato a parlare in modo estremamente spontaneo, Mujica ha avuto un immediato moto di simpatia verso la casa editrice, EIR, composta per lo più da giovani. E proprio pensando alla giovinezza, è diventato molto malinconico. Ma poi, mentre sorseggiava il suo mate, ha cominciato la sua narrazione, tra passione politica e memoria, tra ironia e nostalgia. L'impressione più forte è stata l'umanità calda e affettuosa di un Presidente che è innanzitutto un uomo, amante della terra e della natura”.
 Che gruppo di lavoro ha il presidente?
“Ho avuto modo di conoscere più approfonditamente Joaquín Costanzo, che è stato l'entusiasta intermediatore di questo progetto editoriale. Joaquín è un uomo dall'intelligenza viva e appassionata, d'origine italiana, ricco di ideali e perdutamente innamorato della vecchia sinistra del nostro Paese e delle grandi figure del pensiero comunista italiano. Con lui c'è stata subito empatia. Ci lega una visione del mondo e un sentimento acuto dell'amicizia e del vivere insieme. Il clima della sede presidenziale era arioso, fresco, allegro, pieno d'umanità, completamente privo di quella polvere burocratica e vuota che affligge molti altri luoghi istituzionali del mondo”.
Come sono le stanze dove l’ha ricevuta?
“La stanza di Mujica è molto spaziosa, con un lungo tavolo in legno dove sedeva il Presidente. Alle sue spalle c'erano tanti regali, ricevuti da diverse persone provenienti dalle più disparate parti del mondo. Davanti a lui, dei tavoli con alcuni schermi televisivi, per poter essere sempre aggiornato su quanto accade nel mondo. Un ambiente decisamente semplice, privo di orpelli o fronzoli”.
Comprendo che è riduttivo, ma la sensazione più bella che ha provato incontrandolo è stata?
“Intimità. Un'intimità familiare, calda”.
E dopo aver intervistato Mujica che cosa le è rimasto?
“Il senso profondo del suo pensiero, che ha organizzato l'intera sua esistenza di uomo e di politico: il sentimento acuto e irrevocabile di dover combattere e agire nel mondo per costruire la felicità umana. Rimane impresso dentro di me, quando mi confronto con la mia vita e con il mio lavoro, il suo ammonimento: «Attenzione! La felicità è diversa per ciascuno. Ogni persona ha la responsabilità di cercarla nella propria vita. Non c'è una ricetta uguale per tutti. Vi è una cifra soggettiva irrinunciabile. Sta a te trovarla, inventarla, realizzarla”.
Rossano Scaccini
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