sabato 7 marzo 2015

Salone per signora offre l'incontro di tante sfaccettature della vita di tutti i giorni. Bel romanzo di Erica Barbiani

A San Vito, paesino del nord-est tagliato a metà da una strada statale, vivono Edi Bellin, parrucchiere di talento, e sua moglie Loretta. Non sono soltanto le nuvole di concimi chimici che aleggiano sulla zona ad impedire la felicità della coppia, ma anche un desiderio insoddisfatto: Edi e Loretta non riescono ad avere un figlio. Sarà vero, come crede (e spera) Loretta, infermiera con una passione patologica per i manuali di self-help, che la soluzione a ogni problema è lavorare su se stessi? L'incontro con una serie di bizzarri personaggi, ognuno guidato da un preciso obiettivo, cambierà il destino della coppia: l’apprendista punk Gennifer vuole imparare l’arte del taglio; la volitiva signora Cosimo deve salvare la sua accademia di hairstyle; la silenziosa Adele vuole preservare i segreti custoditi nel suo monastero laico di sole donne; Mirco, autore di best seller sul potere della consapevolezza, sta cercando di disintossicarsi da un gustoso peperone di cui è dipendente. E a unire tutti sarà proprio quest'ortaggio, così morbido e dolce, pungente eppure digeribile: saranno vere le proprietà su corpo e ormoni che gli si attribuiscono? Cosa lo rende così prezioso, e perché tutti vogliono mangiarlo? Attraverso una scrittura comica, brillante e originalissima, Salone per signora trascina i suoi personaggi in una corsa irresistibile alla ricerca di se stessi, verso il misterioso equilibrio tra ossessioni private e miti popolari, leggi antiche e fenomeni naturali.
In sintesi questa può essere la presentazione di Salone per signora, romanzo mandato in libreria a da Erica Barbiani, autrice e produttrice di documentari che vive in Friuli. Ha un dottorato in sociologia, è appassionata di etnobotanica e nel suo orto coltiva decine di erbe aromatiche.
Per Erica Barbiani scrivere vuol dire?
“Tra le tante cose che può essere la scrittura – un modo per capire il mondo, per proteggersi, per re-inventarlo – la cosa che amo di più è il gesto quotidiano dello scrivere. La fatica, ma anche la gioia che sa dare nei momenti in cui meno te l'aspetti. Scrivere ogni giorno è simile all'allenamento che fa un atleta per prepararsi ad una maratona. Credo che la costanza sia in grado di dare un piacere più grande dell'ispirazione, che è notoriamente una musa capricciosa”.  Lei scrive in modo divertente e anche spensierato (a me piacemoltissimo), ma è uno stile che non crede sia poco seguito?
   “Piacerebbe anche a me leggere più testi ironici in italiano. Gli autori che amo – Tom Robbins, Aravind Adiga, Christopher Moore, Gerald Durrell, Zadie Smith, – provengono quasi tutti dalla letteratura anglosassone, dove il genere del cosiddetto dark humor trova molti lettori. Credo che l'ironia, se mescolata alla tenerezza, possa farci riflettere sulla società in cui viviamo con la stessa serietà di altri generi letterari”.
I vari personaggi del suo romanzo hanno un qualcosa che li collega a leggende metropolitane e ti sembra di conoscerli, in quanti le hanno già detto che hai scritto di qualche loro conoscente?
    “La cosa che mi ha sorpresa non è stata tanto lo scoprire che alcuni lettori trovavano somiglianze tra alcuni personaggi del romanzo e persone reali, quanto il fatto che questi “riconoscimenti” non avvenissero soltanto in Friuli, dove è ambientato il romanzo. A quanto pare certi personaggi, e certi scenari, ritornano in diverse località di provincia. Mi fa piacere immaginare che il Salone da Edi Sette Stelle, costruito in un granaio della campagna friulana, possa trovarsi altrettanto bene in un capannone dell'Emilia Romagna o magari alla periferia di Napoli”.
Ma i peperoni?
“Ho scelto il peperone perché volevo raccontare di un ortaggio allo stesso tempo “amato e odiato”: piace  – per il suo sapore, per la vitamina C, per i suo colori – , ma allo stesso tempo sono in tanti a lamentarsi della sua cattiva digestione. Mi sembrava adatto per raccontare il rapporto ambiguo che esiste tra l'uomo e la natura: da un lato la possibile armonia, dall'altro gli effetti imprevisti e collaterali che non riusciamo a controllare. L'ortaggio diventa così una metafora per tutto ciò che della natura non riusciamo a comprendere, il suo essere, inevitabilmente, agrodolce”.
Rossano Scaccini
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