L'uomo di casa raccontato da Romano De Marco è un thriller avvincente
Al suo
settimo romanzo, da poco arrivato in libreria, Romano De Marco sbarca con “L’uomo
di casa" in America.
Sandra
Morrison è una donna realizzata. Vive serena il suo ruolo di moglie e di madre,
abita in un esclusivo quartiere residenziale, alle porte di Washington DC, ha
un lavoro importante che le permette di occuparsi degli altri. La sua vita
scorre su binari che sembrano puntare dritti verso una felicità solida e
duratura. Fino al giorno in cui Alan Sandford, suo marito, viene ritrovato
morto in uno squallido parcheggio. È seduto nella sua auto, con la gola
tagliata e i pantaloni calati fino al ginocchio. La polizia non ha dubbi: un
classico caso di omicidio a scopo di rapina, forse perpetrato da una prostituta
tossica in crisi di astinenza. Per Sandra, è l’inizio di un incubo. E la
situazione peggiora quando scopre che, a sua insaputa, Alan stava indagando su
un caso di cronaca nera, rimasto insoluto tre decenni prima: il rapimento e
l’uccisione di sette bambini a Richhmond, Virginia. Chi era la persona con cui
ha vissuto per vent’anni? Un perfetto uomo di casa, marito felice e padre
amorevole? O uno sconosciuto doppiogiochista, un frequentatore di prostitute
ossessionato dall’enigma della Lilith di Richmond? Cosa lo legava a quella
vecchia storia di omicidi? E perché le aveva tenuto nascosto quel suo morboso
interesse? Sandra proverà a dare una risposta a questa e a molte altre domande,
con l’aiuto delle sue amiche e del suo avvocato. Ma soprattutto del suo nuovo
vicino, John Kelly, un giovane scrittore dal quale si sente irresistibilmente
attratta. Scoprirà, suo malgrado, che nel quartiere di Bobbyber Drive, troppe
cose sono diverse da come appaiono a prima vista. E, soprattutto, che il filo
di sangue che lega l’omicidio di suo marito a quelli di tanti anni fa, non si è
ancora spezzato. C’è ancora un assassino in giro, e la prossima vittima
potrebbe essere proprio lei.
Romano De
Marco, 51 anni, responsabile della sicurezza di un grande gruppo bancario,
divorziato, padre di Lorenzo sedici anni e Sara dodici, appassionato di
lettura, cinema, serie TV, fumetti e tante altre cose.
Lei perché scrive?
“Per
passione e per essere letto dal maggior numero di persone possibile, perché
questo è il vero scopo di tutti noi che scriviamo: essere amati e apprezzati
dai nostri lettori”.
Come si passa dal pensare alla
sicurezza di una banca al raccontare storie perfette di cronaca nera?
“In realtà
non mi ispiro mai ad eventi realmente accaduti, anche se spesso mi è capitato
che la cronaca nera riportasse la notizia di crimini molto simili a quelli che
avevo immaginato nei miei romanzi. È accaduto anche con “L’uomo di casa”. Il
rapimento e uccisione dei neonati rinvenuti nella villetta di Richmond in
Virginia, evento che apre il romanzo, mi pareva il crimine più odioso e
terribile che potessi inventare. Purtroppo nell’autunno del 2015, quando la
prima bozza del manoscritto era già completata, in Baviera, nel sud della
Germania, accadde qualcosa di molto simile. Ho dovuto constatare, ancora una
volta, che quando si tratta di crimini ed efferatezze, la realtà umana riesce
sempre a superare la fantasia. Riguardo al mio lavoro di esperto della
sicurezza, mi ha aiutato più volte nello scrivere. Soprattutto nei miei romanzi
ambientati a Milano, dove spesso descrivo rapine e collusione fra la malavita e
il mondo dell’alta finanza”.
Ingannare: come si riconosce una
persona che è solita farlo?
“Magari lo
sapessi! Potrei brevettare un metodo per la difesa dai bugiardi e diventerei
miliardario! Purtroppo, oggi, con la rilevanza che i social e la comunicazione
globale hanno assunto nella nostra vita di tutti i giorni, è abbastanza usuale
che ciascuno di noi porti avanti tre vite. Una pubblica, una privata e una
segreta”.
Perché “L’uomo di casa” l’ha
ambientato in America?
“Volevo
decisamente creare discontinuità con i miei precedenti sei romanzi tutti
ambientati in Italia. E poi volevo raccontare una America che conosco molto
bene, che frequento ogni anno e che mi affascina moltissimo. In più, essendo
questo il mio primo thriller “puro”, l’ambientazione americana era d’obbligo,
essendo tutti americani i miei punti di riferimento del genere. Sto parlando di
John Sandford, Robert Crais, Michael Connelly, Patricia Cornwell, Thomas Harris
e molti altri”.
Rossano Scaccini
Foto gentilmente concesse
da Romano De Marco
©Riproduzione riservata
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