sabato 4 febbraio 2017

Torto marcio - Alessandro Robecchi ha ragione di sicuro


A chi mi conosce, non sto per rivelare niente di nuovo. Sono un fedelissimo telespettatore di Maurizio Crozza. Non mi perdo nessuna sua apparizione televisiva e neanche le sue performance teatrali.
La bravura del comico ligure, è anche merito di un grande autore, Alessandro Robecchi, che oltre è tante attività lavorative di  successo è arrivato in libreria con “Torto marcio”.  
Milano, quasi centro, eppure periferia, «più di seimila appartamenti, famiglie, inquilini legali barricati in casa, abusivi, occupanti regolari, occupanti selvaggi», vecchi poveri, giovani poveri, italiani poveri, immigrati poveri, criminali poveri. Uno di quei posti incredibili, eppure reali, ormai senza rappresentanza politica, dove i piccoli stratagemmi di un welfare fai-da-te sono questione di sopravvivenza. Posti di cui l’informazione parla solo quando si tratta di sicurezza, o razzismo.
A pochi chilometri da lì, in una via socialmente distante anni luce, un sessantenne imprenditore molto ricco e dalla vita irreprensibile viene freddato con due colpi di pistola. Una vecchia pistola. E sul corpo, un sasso. Ma «il morto non era uno che di solito muore così». E non sarà l’unica vittima.
Per fronteggiare «il ritorno del terrorismo», il ministero manda un drappello di esperti burocrati. Ma la vera squadra d’indagine è clandestina, creata per lavorare sotto traccia e lontano dal clamore mediatico: sono Ghezzi e Carella due poliziotti diversissimi tra di loro, ma entrambi fedeli più alla verità che all’immagine o alle convenienze. E non sono i soli a indagare su un caso in cui, dall’affascinante vedova agli intrecci d’affari, dalla legge alla giustizia, nulla è ciò che sembra. Carlo Monterossi, l’autore di un affermato programma tivù spazzatura, inciampa per avventura nel «caso dei sassi» mentre si trova a dover recuperare, insieme all’amico detective Oscar Falcone, un preziosissimo anello rubato.
Tre storie destinate a incontrarsi in un intreccio dall’ordito perfetto, che resta fino alla fine coperto dal mistero. Questo nuovo giallo di Alessandro Robecchi costruisce la plastica realtà dei personaggi attraverso il fitto incrociarsi dei dialoghi, e fonda il suo umorismo amaro sulla sistemazione scenica oltre che sulla battuta. Mentre la storia – nera, drammatica – si addentra in tutti i contrasti di Milano, dal luccicante studio televisivo, all’appartamento superlusso, giù fino ai luoghi del disagio e dell’emarginazione quotidiana.
E si capisce che il suo scopo è proprio questo: far riflettere sulla nostra società attraverso il poliziesco. Sulla finta – forse impossibile – giustizia, sui colpevoli e gli innocenti, sul buco nero che può inghiottire libertà e dignità.
Alessandro Robecchi come si presenterebbe ai lettori di questoblog?
“Direi che il mio mestiere è scrivere. Faccio il giornalista da molti anni (quest’anno sono 35, pazzesco, ho lavorato per molti giornali, da giovano come critico musicale, poi scrivendo a lungo di politica e società. Ho lavorato per la radio e per la televisione (anche oggi sono autore). Prima di passare alla narrativa ho scritto qualche libro, poi, nel 2014, con Sellerio, ho cominciato la serie dei noir di Carlo Monterossi. Questo sarebbe una specie di curriculum, diciamo. In realtà ora mi interessa più di tutto l’attività letteraria, ma ritengo sempre che scrivere sia un mestiere che si impara e si affina, e tendo a non fare distinzioni tra quello che si scrive. Ogni opera ha una sua specificità, ovviamente, se si scrive per un romanzo o per la tivù le cose sono diversissime, ma resta il legame con la parola scritta, che io considero preziosissimo.
 Ma lei come pensa che sarà la televisione generalista del futuro, anche quello più immediato?
“Dovrà andare incontro ai desideri di pubblici molto diversi e continuerà a vivere (a cercare di vivere) di grandi numeri… Naturalmente può avere un suo carattere, una sua specificità stilistica, ma non può permettersi il lusso di essere settoriale, per cui non credo subirà grandi modificazioni a breve”.
Carlo Monterossi, il personaggio principale del romanzo, quanto le assomiglia?
“Pochissimo, nel senso che non c’è nulla di autobiografico. L’aver scelto come protagonista un autore televisivo rispondeva a due esigenze. La prima: scrivere un noir il cui protagonista fosse in qualche modo una persona normale, cioè non un inquirente, un comissario, un carabiniere. L’idea di mettere una persona ordinaria (anche se il Monterossi non è proprio ordinario…), di fronte a fatti gravi, delitti, omicidi, mi sembrava una sfida in più. Poi, specie nel primo libro (ma molto anche in quest’ultimo) la televisione, il suo cinismo, alcuni personaggi che le girano intorno, beh, sono un argomento che conosco e che trobvo poco raccontato in generale… Come ogni personaggio di una serie, poi, Monterossi cambia e si modifica, ma il carattere e la personalità sono piuttosto ben delineati… no, direi che mi somiglia poco, proprio poco, anche se ovviamente sono convinto che qualcosa di nostro c’è sempre, qualunque cosa scriviamo”.
Rossano Scaccini
Foto gentilmente concesse da Alessandro Robecchi

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