sabato 9 aprile 2011

INTERVISTA AL PRESIDENTE DELLA FEDERAZIONE CICLISTICA ITALIANA RENATO DI ROCCO

Dal 2005 è al vertice della Federazione Ciclistica Italiana e Membro della Giunta Coni del Comitato Italiano Paralimpico (dal 2009 il ciclismo paralimpico è stato integrato nella grande famiglia della Federciclismo), ricopre il ruolo di componente della Commissione consulenza impiantistica sportiva del CONI e dal settembre 2009 è vicepresidente dell'Unione Ciclistica Internazionale. Renato Di Rocco ha accettato l’intervista e non gli faccio perdere molto tempo, poche domande, ma spero che le sue risposte vi interessano.
Chi è Renato Di Rocco?
“Ho dedicato la mia vita allo sport soprattutto all'atletica e al ciclismo. Sono nato in una famiglia di produttori di biciclette ed ho vissuto quindi la mia infanzia nel mondo delle corse di ciclismo a livello giovanile e dilettantistico partecipando ai Centri di avviamento del Coni e iniziando l'attività nel ciclismo con esperienze organizzative all'interno del Velo Club Forze Sportive Romane di Franco Mealli. La mia esperienza si matura alla Scuola Nazionale dove mi sono diplomato. Nel 1971 sono entrato nell’organico CONI diventando Maestro dello Sport ricoprendo successivamente ruoli da Dirigente, Direttore Superiore, Direttore Generale dell'Area Direzionale Sviluppo Società Sportive Rapporti Regioni ed Aree Metropolitane, nel 2001 e Direttore Centrale, dell'Unità Territorio e Promozione dello Sport, nel 2003. Tra gli incarichi avuti, quello di Segretario Generale all’Unione Ciclismo Professionistico e Lega Ciclismo Professionistico, della Federazione Ciclistica Italiana, della Federazione Atletica Leggera, oltre ad essere stato membro eletto del Comitato Direttivo dell’Unione Ciclistica Internazionale di Ciclismo Professionisti e Vice Presidente eletto sempre dell’Unione Ciclistica Internazionale. Con grande orgoglio sono stato Capogruppo della disciplina del Ciclismo ai Giochi Olimpici di Los Angeles, Seoul, Barcellona, Atlanta e Pechino ed ai Giochi del Mediterraneo di Latakia, Atene e Bari oltre ad essere Capogruppo sempre della disciplina del Ciclismo, strada e pista, in tutti i Campionati del Mondo dal 1984 al 1997 e dal 2005 fino ad oggi”.
Dunque la sua famiglia produceva biciclette, ma a lei quell’odore che si sente quando si entra in un negozio dove sono esposte che sensazione le produce?
“Un piacere ed un piacevole senso nostalgico della gioventù, quando giocavo in fabbrica e mentre riposavo mi facevano scaricare, a 14 anni, un camion di telai ed accessori per il montaggio. All'epoca la bicicletta si costruiva: telai, saldature, il latte per le fresature, la verniciatura ed il forno, telai cromati gioielli che farebbero la fortuna degli amanti della bici. Il montaggio delle ruote con le niples e la centratura della ruota. Poesia, odori e sapori, ma anche musica delle frese per tagliare i tubi”.
Lo stato di salute del ciclismo italiano secondo lei è?
“Ottimo. In crescita in rapporto alla crisi violenta di economia. Mantiene inalterate passioni ed emozioni, oltre ai numeri dei tesserati e delle gare organizzate, quasi voglia sfidare i tempi. In più aumentano piacevolmente il numero dei tifosi/appassionati sempre più giovani, nonostante le difficoltà di andare ad applaudire i propri beniamini in cima alle montagne, senza nessun confort di trasferimento e di accoglienza”.
Di che cosa si sente fiero d’aver fatto da quando è presidente della Federazione ciclistica italiana?
“Aver rilanciato il settore giovanile ed aver individuato con la competenza dei collaboratori un nuovo impianto di ciclismo: i ciclodromi. Ora ne contiamo 70! Oltre ad aver ricreato il clima di grande famiglia ed un forte senso di appartenenza delle società e degli operatori a tutti i livelli. Aver ridato dignità anche a livello internazionale alla nostra Istituzione, ed un forte orgoglio per tutti gli atleti che indossano la Maglia Azzurra, non è poco”.
Ed il suo prossimo obiettivo da raggiungere è?
“Un ciclismo pulito, anche se oggi è la sola disciplina che rincorre questo obiettivo e ridare senso al mondo amatoriale: pedalare per il benessere e per lo stato di salute, in compagnia, in sicurezza e magari con tutta la famiglia”.
Il ciclismo degli amatori, secondo lei, di che cosa ha bisogno?
“Quello che dicevo prima evitare: il confronto con la prestazione se non con la propria e riscoprire il piacere del ciclismo come valorizzazione del territorio e del rispetto dei luoghi attraversati”.
Rossano Scaccini
Foto gentilmente concessa da Renato Di Rocco
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sabato 2 aprile 2011

EROS POLI; L'UOMO DALLE IMPRESE IMPOSSIBILI

Dire Eros Poli per gli appassionati di ciclismo significa Mont Ventoux, ma quella tappa del Tour, edizione 1994, mi piace che sia proprio lui a ricordarla. “Caldo, molto caldo, 38°. Ennesima tappa lunga, 235 chilometri, ne avevamo già disputate 4 di fila superiori ai 250 km. Comunque, partenza a razzo come è tipico al Tour, poi tutti fermi, troppo caldo. Mi fermo a far pipì, rientro tra le macchine, affianco la mia ammiraglia e inizio a far due parole con Antonio Salotini (mio ds), siamo al km 48, mancano 2 all' inizio rifornimento dalla macchina ed io rimango lì ad aspettare il cartello dei 50. Salotini mi dice “attento rientra che Cassani ha attaccato” Non ci credevo, non lui, ma la sua squadra. Sempre tattica Ferreti, attaccare in prossimità dei rifornimenti. Rientro e riesco ad arrivar davanti. Dopo 15 km parto in contropiede. Il gruppo si muove tardi, ho già 45". La Festina e la Carrera di Pantani mettono davanti i loro uomini, ma ero sul mio terreno, guadagnavo poco ma faceva caldo e non solo io avevo sete ma anche gli altri 140 dietro di me che m'inseguivano. Alla fine il gruppo si ferma e io vado. Ho 100 km davanti per arrivare ai piedi del Montventoux. Faccio quattro calcoli al volo, mi servono 24' se voglio sognare a vincere e posso perdere 1' a km. 22 chilometri di salita me ne restano 2 per coprire gli ultimi 40km, 20 di discesa 20 di pianura. Ai piedi del Ventoux ne ho 24'30", scollino su Pantani con 4'30" a 5km dall'arrivo la moto di Laurant Bezault (l'anno prima in squadra con Lemond, ora uno dei dirigenti tecnici del Tour) mi segnala che ho riguadagnato5'. Tiro il fiato, ce l'ho fatta. Il mio sogno nel cassetto era di passare per primo in salita ed essere accolto dai tifosi per primo e provar quella emozione di vedere la gente che si apre davanti a te mentre passi, io che passavo sempre per ultimo, mezzora dopo. Quel giorno tappa e realizzo il mio sogno”.
Eros Poli ha quasi 48 anni, sposato con Michelle Strauss, australiana, conosciuta a fine stagione nell'88 a melbourne, hanno due figlie: Amy 20 anni e Kamy 12.
Oggi di che cosa si occupa?
“Il mio nuovo lavoro è anche il mio hobby, faccio da consulente e collaboratore con Xevets (Pinarello) nell'organizzare viaggi in bici, specialmente in Francia e sui percorsi del tour. Organizzo inoltre percorsi enogastronomici in bici legati al territorio veronese e trevigiano per una clientela prevalentemente americana e australiana. Si pedala, degustazione vini a fine pedalata, aperitivo alla sera e cena nelle osterie tipiche”.
Quell’impresa in terra francese non ha messo in secondo piano la sua medaglia d’oro alle Olimpiadi di Los Angeles nella cronometro a squadre: quella che gara è stata?
“Tutti i veri appassionati si ricordano delle nostre 100km. Eravamo dilettanti all'epoca e il grande ciclismo era Hinault, Moser, Saronni, Argentin e fignon. Sicuramente la 100km non era importante come un Tour o un Giro, ma era una disciplina olimpica che avevamo fatto nostra grazie ad un eccezionale staff tecnico ed a un grande allenatore, Edoardo Gregori. Nell'ultimo mese prima della gara ci faceva fare a giorni alterni 3 allenamenti al giorno, la corsa alla fine é stata una passeggiata”.
La Gara che porterà sempre nel suo cuore è?
“Quando l'inno di Mameli suona solo per te e hai una medaglia d'oro olimpica al collo non si può descrivere. In quel momento di immensa emozione ti passano in un flash tutti quei momenti che volevi mollare, le sofferenze degli allenamenti. Non si può cantare l'inno in quel momento. Ti perderesti quel flash e ti perderesti la meritata lacrima. Però non era niente male neanche la lacrima a 5km dall'arrivo quando Laurant Bezault mi ha detto dopo 170 km di fuga: “Eros hai 5', ormai hai vinto". Immaginare che in quel momento sarebbero state davanti alla televisione mia moglie e mia figlia guardarmi a vincere, mi ha emozionato moltissimo. Nel cuore porterò sempre entrambe, questi momenti che hanno un’intensità unica”.
Per Eros Poli salita vuol dire?
“Cominciare a far calcoli la sera prima, per arrivare in tempo massimo all'arrivo”.
Se le dico Tour de France lei mi risponde?
“Grande corsa, tanta adrenalina in gara, la più dura, immenso businnes, forse troppo”.
E Giro d’Italia?
“Grande corsa, grande cuore, troppa salita, ma grande spettacolo”.
Lei in carriera ha tirato molte volate a Cipollini: ci fa rivivere quella che le è riuscita meglio?
“Una delle mie prime volate tirate, al Giro di Sicilia, sono riuscito a tener testa a 3 uomini della Panasonic e a lanciare il Cipo. Un altra bella, l'ultima tappa al Giro del 92 e un altra con arrivo a Citta' di Castello”.
Rossano Scaccini
Foto gentilmente concessa da Eros Poli
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